Nei giorni tragici per l'Italia dell'offensiva austro-ungarica che costringe a un drammatico ripiegamento l'esercito italiano, La Difesa si allinea col suo vescovo e con le associazioni cattoliche nell’incoraggiare la gente alla coesione, alla «azione fattiva ed energica e allo spirito di sacrificio». Una proposta: requisire i palazzi deserti per accogliere i profughi.
Le pagine di allora, in formato digitale
La prima pagina messa del 23 dicembre 1917 apre un numero di sole due paginette che interrompe la sospensione di un mese dei notiziari, decretata dall’Associazione stampa padovana dopo Caporetto.
Ed è proprio l’Associazione stampa a fare ora voto che i giornali «riprendano al più presto le ordinarie pubblicazioni ispirandosi ai criteri di economia che le difficoltà industriali consigliano, anche per assicurare una vita regolare e duratura, conformemente ai bisogni della cittadinanza». Anche la Difesa quindi, «vinte le difficoltà maggiori che avevano imposto la sua sospensione» riprende le sue pubblicazioni ordinarie.
Non c’è dubbio che una delle “ossessioni” della Difesa negli anni della Grande guerra (e non solo) fosse rivolta alla tutela del buon costume, con particolare riguardo ai nuovi atteggiamenti del mondo femminile. Questo centenario ha posto molta attenzione al ruolo della donna, coprotagonista del conflitto accanto all’uomo combattente e fatalmente destinata a veder mutare il proprio ruolo sociale. Ma fuori dalle mura domestiche, i pericoli per la morale sono evidenti...
Sulla Difesa del 2 settembre 1917, la prima pagina è interamente occupata dall’appello del vescovo Pellizzo alla preghiera e alla penitenza per il dono della pace “secondo i desideri del Santo Padre”, che nei primi giorni di agosto aveva mandato ai governi dei paesi belligeranti una nota che li invitava a iniziare trattative di pace.
Quello dei cappellani militari era un ruolo “privilegiato” ma esigente. Eliminati dallo stato unitario, furono reintrodotti alla vigilia della dichiarazione di guerra dal generale Cadorna. Il loro ruolo fu pastorale ma anche propagandistico, per sostenere il morale e la disciplina della truppa. La Difesa sottolinea costantemente il loro spirito di sacrificio e il loro valore.
E nel numero del 10 agosto 1917 annuncia la medaglia d’argento conferita a don Giovanni Rossi, sacerdote padovano cappellano dei Granatieri di Sardegna.
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La prima grande tragedia di quell’anno orribile che fu il 1917, alla fine dell’inverno più freddo del secolo, iniziò il 10 giugno, alle 5.15, con l’avvio del “tiro di distruzione” delle artiglierie italiane sull’Ortigara. L'8 e 9 giugno Asiago farà memoria di quel passaggio cruciale della Grande guerra con due giorni di eventi.
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A ridosso della festa del lavoro del 1° maggio 1917,la Difesa del popolo coglie l’occasione per aprire con una riflessione sul futuro del socialismo, che riassume e attualizza una lunga opposizione, aperta con la nascita stessa del settimanale diocesano.
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Per una volta invece di leggere quali fatti la Difesa del popolo offre ai suoi lettori per capire il momento che l’Italia e la chiesa locale stanno vivendo, ci soffermiamo su un articolo che ripensa al modo con cui il settimanale si offre e al fine che si propone.
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“La rivoluzione in Russia” titola in apertura la Difesa del 25 marzo 1917. Nei mesi successivi seguiranno numerosi aggiornamenti, fino a quando il 3 marzo dell'anno successivo si annuncerà che «i commissari del popolo hanno dichiarato alla Germania di cedere per il momento alla violenza e di accettare le condizioni di pace dettate dagli Imperi centrali».
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I pochi interventi di censura rilevabili sulla Difesa appaiono interessanti. Il primo, più vistoso, è quello del 3 dicembre 1916.Non meno significativo appare anche un taglio breve censorio sul numero del 20 gennaio 1918 quando si comunicano le condizioni poste da inglesi e americani per iniziare le trattative di pace. Quando fu il papa a fare la proposta, scrive la Difesa, «si trovò in lui l’amico della Germania, il conculcatore d’ogni diritto e chi più ne ha più ne mett...». Seguono cinque righe bianche. Anche le parole del papa, a quanto sembra, potevano danneggiare le sorti della guerra...
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Venerdì 11 novembre alle ore 10.30 il parroco del Carmine mons. Alberto Peloso celebra nel sacello della Rotonda una messa in ricordo delle vittime del bombardamento austriaco che cento anni fa, in quello stesso giorno, tolse la vita a 92 persone. Alla sera quattro aeroplani austriaci nel giro di pochi minuti lanciarono dodici bombe sulla città. Undici non fecero alcun danno. Una però cadde all’ingresso del rifugio ricavato nel bastione della Gatta, in piazza Mazzini, che era inagibile perché allagato dalle piogge abbondanti nei giorni precedenti.
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Il settimanale stigmatizza il “cinema di varietà” che recluta a poco prezzo artisti da café chantant e “avanzi del teatro” per imbastire vicende che mettono in serio pericolo la pudicizia. Elogia invece “la maestrina di buon senso” che si rifiuta di portare la propria classe a vedere il filmato sulla presa di Gorizia: inclina l’animo alla violenza.
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“La giornata delle tre guerre”: così la Difesa definisce il 28 agosto, giorno che resterà storico per la dichiarazione di guerra dell’Italia alla Germania, a cui si unì la dichiarazione della Rumenia (Romania) contro l’Austria e della Germania contro la Rumenia. La dichiarazione fu voluta dagli alleati per coinvolgere completamente lo stato italiano nelle operazioni belliche in corso.
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“Le nostre truppe sono entrate a Gorizia. La disfatta degli austriaci. Oltre diecimila prigionieri catturati”: è questo il titolo a tutta pagina della Difesa del popolo del 13 agosto 1916. Ma il settimanale diocesano si sofferma la settimana successiva anche sul costo della guerra per il territorio giuliano (e come non pensare a quello dell’Altopiano?).
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Mentre si annuncia il fallimento o almeno l’arresto della “spedizione punitiva” austriaca, il titolo di apertura è dedicato alla situazione del “fronte interno” in cui le classi abbienti non sembrano disposte ad alcun sacrificio davanti a centinaia di migliaia di soldati mandati a patire e a morire.
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La commemorazione che domenica 22 maggio ha aperto il lungo periodo di ricordi dell’avanzata austroungarica sull’Altopiano di Asiago, ha ricordato l’importante ruolo svolto dalla chiesa, dai parroci dell’Altopiano ma anche dalla struttura ecclesiale diocesana, nel pronto soccorso alle famiglie costrette ad abbandonare le loro case e scendere in pianura prive di ogni risorsa. Una mobilitazione decisa dal vescovo Pellizzo nel giro di pochi giorni, con una lettera indirizzata a tutti i parroci.
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La prima guerra mondiale segna una profonda rivoluzione nel modo di combattere. Per la prima volta viene praticata la guerra aerea e quella sottomarina; debuttano i gas asfissianti. Ma la vera rivoluzione nel modo di combattere viene da due protagonisti che furono i reali dominatori su tutti i fronti: la mitragliatrice e il filo spinato.
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La lettera quaresimale di papa Benedetto XV che invoca la pace e invita i cattolici alla preghiera. «Non ci è possibile astenerci dal levare ancora una volta la nostra voce contro questa guerra, la quale ci appare come il suicidio dell’Europa civile».
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Gli strali del settimanale diocesano colpiscono un libro di Giovanni Papini, La paga del sabato, che ripropone enfatizzata la tesi futurista della guerra igiene del mondo. Lo scrittore è citato a esempio della degenerazione dell’uomo senza fede.
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La triste disillusione dei soldati che tornano alle proprie case in licenza, trovando una società in cui troppi ancora si permettono lussi e divertimenti invece di accompagnare lo sforzo bellico con un contegno adeguato.
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Adesso magari, a cento anni di distanza, può sembrare assurdo. Ma a quel tempo, nel dicembre del 1915, anche se ancora la grande guerra non aveva fatto assaggiare all’Italia tutta la sua crudezza, il sapore della ritirata e della paura, c’era chi si lamentava perché durante i funerali dei soldati italiani si pregava per tutti i caduti, anche quelli di campo avverso.
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Già nei primi mesi di guerra cominciarono ad emergere valutazioni sugli illeciti guadagni che venivano ottenuti dalle industrie coinvolte nelle forniture militari. Sovrapprofitti che furono subito denunciati anche dalla Difesa e poi comprovati, alla fine del conflitto, da un’apposita commissione parlamentare.
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Migliaia di mutilati e di ciechi, un gran numero di orfani di guerra, industrie che languono o muoiono «pel divampare della guerra»: queste le conseguenze del conflitto. E non sono passati nemmeno cinque mesi dall’ingresso dell’Italia in questa «immane tragedia» europea!
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La Difesa non legge la guerra che comincia ormai a manifestarsi nella sua brutalità, come un “castigo di Dio” per i peccati dell’uomo, ma piuttosto come il suicidio di una società secolarizzata che ha perduto i suoi riferimenti morali e intellettuali lasciandosi travolgere dall’egoismo. E trova anche l'assenso di insospettabili intellettuali del mondo laico...
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L’Altopiano vicentino è vittima due volte: per la presenza della linea del fronte e per la diffidenza con cui i militari, istigati da circoli anticlericali, guardano alla popolazione accusata di connivenza col nemico. Ma il processo a tre parroci e cinque laici dell'Altopiano, arrestati il 4 luglio, si conclude con la loro piena assoluzione.
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Sui campi di battaglia ormai si combatte e si muore ogni giorno. Accanto ai soldati, ecco l'opera silenziosa e spesso eroica dei cappellani militari. Tre storie esemplari, di coraggio e altruismo, raccolte dalle corrispondenze di guerra di giornali "laici", occupano la prima pagina della Difesa del popolo del 25 luglio.
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Giugno 1915, primo mese di guerra per l'esercito italiano. Nel numero del 13 giugno la cronaca dell’inviato di guerra Athos Gastone Banti fornisce indicazioni tranquillizzanti sul trattamento dei soldati in prima linea, dal rancio all'abbigliamento.
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Nei primi due numeri di maggio 1915 ricorrono assillanti sulle prime pagine della Difesa gli interrogativi: “L’Italia vuole o non vuol la guerra?” (9 maggio), “Si va o non si va in guerra?” (16 maggio).
Nel primo numero del mese l’articolista si dichiara convinto che ormai l’entrata in guerra sia inevitabile, ma avverte che è illusione pensare di far fuori il nemico in quattro e quattr’otto, per potersi sedere bellamente al tavolo dei vincitori. E così, infatti, sarà…
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Cento anni fa, nella notte tra il 23 e il 24 maggio, il primo colpo di cannone sparato dal forte Verena dava il via alla Grande guerra. Nell'anniversario un fascio di luce collegherà il “dominatore dell’Altopiano” con le cime del Trentino a segnare la fine delle frontiere. Perché oggi la sfida è quella di saldare ricostruzione identitaria e accoglienza.
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I cattolici, di cui la Difesa si fa portavoce, restano ostinatamente legati alla “neutralità relativa”. Evitare la guerra, sostengono conti alla mano, vuol dire non gettare il paese in uno spaventoso gorgo di morti, di danni economici e di conseguenti peggioramenti delle condizioni di vita degli strati più poveri della popolazione. Ma se la patria chiama...
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“L’Italia e la guerra”, titola la Difesa del 21 marzo 1915, per indicare come si stia infittendo il confronto, e lo scontro, tra interventisti e neutralisti. C’è poi quel trafiletto in apertura di colonna, che annuncia un fatto simbolicamente significativo: la proibizione della produzione e della vendita del pane bianco. Un articolo che trova eco nel numero successivo, dove si invitano agricoltori e piccoli proprietari a seminare tutti i terreni disponibili.
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Il 13 gennaio 1915 l’Italia centrale è stata scossa da una terribile ondata sismica che si abbatte soprattutto sull’Abruzzo, con epicentro nella piana del Fucino, provocando più di 30 mila vittime. E tuttavia è tempo di carnevale, per quanto il suo clima spensierato poco si addica ai tempi bui che si stanno vivendo e ancor più che si profilano all’orizzonte.
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Dopo che la sua proposta di una tregua nel giorno di Natale era stata respinta dagli stati in guerra, nel gennaio del 1915 una seconda iniziativa di papa Benedetto XV viene invece accolta: lo scambio dei prigionieri che le ferite e le mutilazioni avevano resi permanentemente invalidi alla guerra (e, purtroppo, non solo a quella). Acquista la prima pagina del 10 gennaio 1915 in formato digitale ad alta risoluzione nel nostro e-shop.
La quinta delle prime pagine della Difesa del popolo del tempo di guerra che andiamo riproponendo in formato digitale porta la data del 15 novembre 1914. È il giornale immediatamente precedente al numero del 22 novembre in cui campeggerà la prima enciclica di papa Giacomo Della Chiesa, energicamente rivolta a implorare «la pace e l’amore tra gli uomini». Mentre il mondo cattolico si divide tra neutralità e interventismo, fioriscono i racconti dell'eroismo di preti e suore sul fronte franco-tedesco. Come quello dell'inviato del Corriere della Sera Luigi Barzini ripreso dal settimanale diocesano. Acquista l'originale in alta risoluzione.
La quarta delle prime pagine della Difesa del popolo del tempo di guerra che andiamo riproponendo in formato digitale porta la data del 25 ottobre 1914. Lungo tutto il mese di ottobre si susseguono le notizie dal fronte franco-tedesco. Il titolo più “urlato” a tutta pagina è quello dell’ultima domenica, il numero 43 del 25 ottobre: “Le tragiche vicende della più grande guerra”. In sintonia con esso gli articoli descrivono apocalittici scenari di battaglia, come questa cronaca di un soldato francese. Acquista l'originale in alta risoluzione.
Terza puntata della serie di prime pagine in formato digitale della Difesa del popolo di cento anni fa. Nel numero del 20 agosto 1914 il settimanale diocesano propone, oltre a una serie di corrispondenze e notizie sulla situazione dei lavoratori italiani emigrati che la guerra ha bloccato oltre le frontiere, il primo messaggio del nuovo papa, Benedetto XV, che, rifacendosi esplicitamente alle ultime parole del suo predecessore emesse «nel primo fragore di questa guerra», invoca la pace sull’Europa.
Seconda puntata della serie di prime pagine in formato digitale della Difesa del popolo di cento anni fa. Nel numero del 16 agosto 1914 il settimanale diocesano propone, tra l’altro, un toccante trafiletto dedicato alle conseguenze della mobilitazione generale che in quei giorni tutte le nazioni belligeranti stavano concludendo e che coinvolge anche la vicina città di Trento.
Inizia la pubblicazione delle prime pagine in formato digitale della Difesa del popolo di cento anni fa. Nel numero del 9 agosto 1914 – il primo che offriamo ai nostri lettori appassionati – il settimanale diocesano dava conto dell'inizio delle ostilità e pubblicava in prima pagina le disposizioni del vescovo di Padova Luigi Pellizzo “Per la pace”.