12 marzo 1916: la guerra è «il suicidio dell’Europa»
La lettera quaresimale di papa Benedetto XV che invoca la pace e invita i cattolici alla preghiera. «Non ci è possibile astenerci dal levare ancora una volta la nostra voce contro questa guerra, la quale ci appare come il suicidio dell’Europa civile».
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All’inizio di quella che sarà per l’Italia la prima quaresima e poi la prima Pasqua di guerra, papa Benedetto XV inviò agli italiani un caldo invito alla preghiera, mezzo per impetrare dal Signore la pace e «unico conforto allo strazio di ogni cuore umano per questa orribile lotta fratricida».
Ancora una volta papa Giacomo Della Chiesa, salito al soglio pontificio i primi giorni di settembre del 1914, a pochi mesi dallo scoppio della guerra (era stato nominato cardinale da appena tre mesi), implora gli stati affinché trovino la strada della pace.
L’aveva fatto una prima volta a pochi giorni dalla sua elezione, l’8 settembre 1914, con l’esortazione Ubi primum; quindi il 1° novembre con l’enciclica Ad beatissimi Apostolorum, dove tra l’altro aveva usato espressioni analoghe a quelle che susciteranno grande scalpore nella Nota del 1917, parlando di «gigantesche carneficine e stragi».
Non solo la guerra non era cessata, non solo non si era nemmeno tentato un qualche approccio diplomatico, ma anche altri stati, tra cui l’Italia, si erano lasciati coinvolgere nel conflitto.
Ora questa lettera quaresimale usa un’altra espressione che ben definisce, con spirito profetico, quello che è e sarà la prima guerra mondiale, «il suicidio dell’Europa civile».
L’espressione verrà ripresa anche nel titolo di apertura nel numero della Difesa del 2 aprile successivo. Non si tratta, sostiene l’articolista, di una frase a “sensation”, di quelle che i comizianti usano per attirare gli applausi, ma di una definizione perfettamente esatta, come «conseguenza naturale della guerra tra società civile e società religiosa».
La società civile moderna appare infatti fondata sull’odio, mira «a condurre gli uomini all’esaltazione di se stessi e alla depressione e distruzione degli altri; fa consistere la pace nell’esaurimento dell’avversario, nella distruzione del territorio nemico...».
Il suicidio d’Europa è analogo al gesto di una delle due donne che si sono appellate al giudizio di Salomone, disposta a uccidere il figlio pur di salvare la propria ragione.
Inascoltati gli appelli alla pace, Benedetto XV continuò la sua politica della “diplomazia dell’assistenza” che già si è vista all’opera fin dall’inizio della guerra nel favorire lo scambio dei prigionieri gravemente ammalati o mutilati e della popolazione civile internata in territorio nemico.
Il 6 febbraio 1916 il settimanale diocesano dà risalto ai ringraziamenti che la Santa Sede ha rivolto al governo svizzero per l’ospedalizzazione dei prigionieri più gravemente feriti e ammalati i quali, per il loro numero, non potevano ricevere quelle cure e quell’assistenza richiesta dal loro stato. Il primo contingente è di un centinaio di malati per parte, perlopiù tubercolotici.
Il 13 febbraio si dà notizia della visita del cardinale Scapinelli, nunzio apostolico a Vienna, ai prigionieri italiani a Mauthausen, raccogliendo i reclami e le osservazioni fatte dai soldati e dagli ufficiali e presentandole al comandante del campo.
Sulla condizione dei prigionieri si tornerà nel numero del 21 maggio dando relazione della visita compiuta a Mauthausen dal parroco dell’Engadina don Iseppi, e poi ancora il 2 luglio, dopo l’esaurimento della “spedizione punitiva” austriaca sulla fronte trentina.
La preoccupazione è quella di rassicurare le famiglie sulle condizioni di vita dei prigionieri, che per ora appaiono ancora tollerabili. Il 6 luglio un trafiletto informa che il papa ha chiesto a tutti i vescovi dei paesi belligeranti di interessarsi dei prigionieri trattenuti nella loro diocesi.
Il 27 agosto si dà conto di «come furono liberati per l’intervento del papa i prigionieri italiani in Turchia», per mezzo del delegato apostolico mons. Angelo Dolci. Siamo a poca distanza dall’appello lanciato alla comunità internazionale perché fermi lo sterminio della popolazione armena. Il governo turco aveva imprigionato nel carcere di Stambul i principali esponenti della colonia italiana accusati di corrispondenza segreta, colpa da legge marziale.
Il 24 luglio, informa l’articolo, grazie all’interessamento del Vaticano viene accordata la grazia e i prigionieri vengono liberati. La stampa liberale, si nota, minimizza: in fondo in galera erano trattati meglio che fuori! In dicembre, contemporaneamente a un altro forte intervento per la pace, il papa lancia un appello in favore dei bambini belgi che muoiono di fame.
Abbiamo scritto
Dinanzi al tremendo conflitto che lacera l’Europa Noi, come pastore universale delle anime, non potevamo senza venir meno al sacro dovere impostoci dalla sublime missione di pace e di amore da Dio affidataci, restare indifferenti o assistere silenziosi.
E perciò sin dall’inizio del nostro pontificato, con l’angoscia che ci suscitava nel cuore un così atroce spettacolo, Noi ci adoperammo ripetute volte colle nostre esortazioni e coi nostri consigli per ridurre le nazioni contendenti a deporre le armi, componendo i propri dissidi nel modo meglio richiesto alla umana dignità mediante una intesa amichevole.
Gettandoci per così dire in mezzo ai popoli belligeranti come un padre in mezzo ai propri figli in lotta, li abbiamo scongiurati in nome di quel Dio il quale è giustizia e carità infinita a rinunciare al proposito di mutua distruzione e ad esporre una buona volta con chiarezza in modo diretto o indiretto i desideri di ciascuna parte e a tener conto nella misura del giusto e del possibile delle aspirazioni dei popoli, accettando ove occorra, in favore della equità e del bene comune, doverosi e necessari sacrifici di amor proprio e di interessi particolari.
Questa era ed è l’unica via. (...) Noi confidiamo dunque che non solo a Roma, ma in tutta l’Italia e negli altri paesi belligeranti le famiglie cattoliche si raccolgano specialmente nei prossimi giorni dalla Chiesa consacrati alla penitenza, lasciando gli spettacoli e i divertimenti in una più fervorosa e assidua preghiera e nelle pratiche cristiane e nelle mortificazioni.