Zandonà, una famiglia di "marangoni" da tre secoli ad Arlesega di Mestrino

Arlesega di Mestrino Lino ha 85 anni, Francesco ne ha 81, il più giovane è Ignazio di 78 anni. Tre fratelli falegnami, un mestiere di famiglia tramandato dal 1740 da papà, nonni e trisavoli. Cresciuti a “pane e segatura”, la loro bottega profuma di antico e di sapienza

Zandonà, una famiglia di "marangoni" da tre secoli ad Arlesega di Mestrino

Non lo troverete scritto da nessuna parte, che non appena mettete piede all’interno della bottega dei fratelli Zandonà ad Arlesega di Mestrino, «siete entrati in un altro mondo». O meglio, in un’altra dimensione che è quella di tre fratelli, tutti falegnami, con tre secoli di storia familiare sulle spalle. Un primato riconosciuto anche di recente con un premio alla carriera datogli dalla Regione Veneto, per essere una delle attività artigianali più antiche del Padovano, come pure del Veneto. Ma i blasoni interessano poco al decano Lino di 85 anni, Francesco di 81 e al più giovane dei fratelli Zandonà, Ignazio di 78 anni, che confessa: «Ciò che ancora conta nella nostra vita è quella passione che ci tiene legati al banco da lavoro». Mani preziose, le loro, che oggi sarebbero ricercate in ogni dove perché in via d’estinzione, eppure qui non c’è niente di monumentale. A partire dalle loro figure che si mostrano minute e con tutte le dita nelle mani (cosa assai rara tra i falegnami). La struttura dentro cui lavorano ha solo qualche elemento di modernità con poche essenziali macchine che hanno sostituito parzialmente il loro antico mestiere. Qui prende forma quel detto che ricorda quanto sia l’esperienza a fare l’uomo, che «chi lavora magna» o che «tre falegnami fanno per sei occhi. E sei occhi fanno strada». Insomma, l’emozione c’è eccome nel trovarsi davanti a dei “monumenti dell’artigianalità”, la cui storia di svariate generazioni ha tramandato il titolo antico di marangoni (falegnami) che si sta esaurendo proprio con loro. «Questo mestiere lo faceva già nostro padre Giovanni e prima di lui nostro nonno Cornelio, che a sua volta l’aveva imparato dal suo trisavolo». Così anche le parole qui profumano di antico, con Lino che intanto ci invita a entrare nella bottega, subito dopo avergli spiegato la difficoltà che si ha nel trovare proprio il luogo dove lavorano, per mancanza di insegne. «Ma quali insegne? Chi ci cerca, sa dove siamo. E visto che i Zandonà qua ci sono da svariate generazioni, non ci servono insegne!». Quindi niente costi di pubblicità, visto che sono ormai gli unici nel Veneto, come indica la targa assegnata due mesi fa dal Comune di Mestrino, con il patrocinio della Regione, con quella data di fondazione 1740 che sancisce l’avvio ufficiale dei marangoni di Arlesega. I tre fratelli si muovono nel loro mondo, come hanno fatto i loro antenati, usando i medesimi attrezzi ancora oggi. L’atavica bottega è ancora nella vecchia casa padronale, dove più di un secolo fa papà Giovanni costruiva carri, botti e casse da morto su misura per poter portare in tavola il pane per i giovani figli. Ragazzi che sono cresciuti a “pane e segatura” che da adulti e oggi anziani, si sentono ancora aggrappati all’albero paterno. Ognuno di loro ha iniziato molto presto a lavorare in bottega: «Io avevo sei anni – ricorda Lino – quando mi misero a raddrizzare chiodi storti». Fuori però, resta ancora un cimelio storico, dismesso ormai da decenni: sono due lastre di trachite conficcate nel terreno: «Servivano per imbragare le ruote con i cerchioni di ferro, nel quale era specializzato nostro padre, per questo conosciuto come caradore, ma anche all’occorrenza costruttore di casse da morto su misura – precisa Ignazio – Questo avveniva fino a sessant’anni fa, quando l’economia familiare portava a realizzare una bara su misura da consegnare il giorno dopo, lavorando anche di notte, con papà che si dedicava alla parte lignea, mentre mamma cuciva l’arredo interno. Così che in poche ore veniva assemblata su misura l’ultima dimora degli uomini di allora». Gli antichi strumenti da lavoro appesi alle pareti mostrano solo una spolverata di polvere, segno che mani operose li usano spesso. È quasi un museo la loro falegnameria, con la differenza che dentro si fa sul serio. Lo si intuisce subito dal via vai di professionisti che giungono per controllare lavori o portare nuove commesse: i più sono architetti e restauratori, tutti professionisti che nella modernità hanno il compito di recuperare e conservare l’antico. Parola questa che esce spesso dalla bocca dei tre fratelli, che spiegano di essere ormai rimasti gli unici a conoscere i segreti di costruzione di porte, finestre, scale e mobili che costituiscono da secoli l’arredo delle dimore nobiliari venete. Falegnami-restauratori specializzati nei meccanismi e funzionamenti di tutte quelle strutture lignee, fabbricate rigorosamente a mano, che oggi nessuno sa più come riparare: «Restiamo solo noi – ci dicono con un velo di tristezza – perché non c’è nessun altro che lo voglia fare in futuro». Non hanno quindi eredi diretti, dopo che l’unico nipote che speravano potesse perpetuare il mestiere, dopo aver fatto un paio di anni di bottega, ha scelto altri percorsi. «Dunque, eccoci qua soli, vecchi e un tantino stanchi, ma con una mole di lavoro che ci vorrebbe già in pensione da anni, mentre in tanti ci supplicano di restare ancora per qualche anno» per salvaguardare e curare quella “civiltà delle ville venete” dove i fratelli Zandonà continuano a mettere mano, con una maestria orfana di eredi.

Una tradizione familiare che rischia di scomparire con loro
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La storia dei fratelli Zandonà è uno di quei rari spaccati di Veneto genuinamente antico, che merita di essere conosciuto e visto, prima che scompaia del tutto. Manca poco, ammettono i tre fratelli, perché si chiuda per sempre bottega, ponendo fine a una tradizione familiare di svariate generazioni di marangoni, che conservano da quasi tre secoli, dal lontano 1740.

Restauratori

È sufficiente uno scambio di sguardi ai fratelli Zandonà per stilare il lungo elenco di dimore storiche in cui hanno operato come restauratori. Si parte dalla più celebre tra le ville, La Rotonda del Palladio di Vicenza, poi molte di quelle sulla Riviera del Brenta, e ancora villa Rocca Pisana a Lonigo e villa Contarini di Piazzola sul Brenta, proseguendo per il Museo degli Eremitani e gli Scrovegni di Padova. Compresa un’infinità di palazzi storici veneziani. Le loro voci si sovrappongono nel ricordare dove hanno messo mano a serrature, balconi, porte, scale e mobili.

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