1918: la fine della guerra sulle pagine della Difesa
Il quinto e ultimo capitolo dell’e-book che racconta come il giornale diocesano visse e descrisse, settimana dopo settimana, la prima guerra mondiale. Con l'autunno del 1918, quando sembrava che ci si dovesse rassegnare a un altro, infinito inverno di guerra, quasi all’improvviso scoppiò la pace.
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Quando sembrava che ci si dovesse rassegnare a un altro, infinito inverno di guerra, quasi all’improvviso scoppiò la pace.
I primi segnali arrivarono il 4 ottobre quando venne istituita a Trento una commissione, presieduta dal generale Viktor Weber von Webenau, per studiare e trattare un armistizio che prevedesse il cessate il fuoco sulle posizioni occupate dai rispettivi eserciti.
Il 6 ottobre la Difesa riporta la notizia della capitolazione bulgara. Il 13 il presidente americano Wilson annunciò che avrebbe respinto ogni proposta di armistizio fino a quando gli eserciti tedeschi e austriaci fossero rimasti sul suolo alleato. In previsione di un’imminente offensiva italiana l’imperatore Carlo inviò quindi un telegramma al pontefice, il 23 ottobre.
Ma il 24, anniversario dell’inizio di Caporetto, l’esercito italiano aprì lo scontro finale sul Grappa, poiché la piena del Piave ritardavano la posa delle passerelle.
La notte del 25 la decima armata iniziò l’occupazione delle Grave di Papadopoli con un’offensiva combinata italo-britannica. Ma il momento chiave venne il 28 ottobre, quinto giorno di battaglia: le sorti della battaglia volsero nettamente in favore degli italiani nella conca di Asiago, sul Grappa, in Valbrenta. Al ponte militare di Salettuol e poi a Palazzuol l’esercito tricolore passò il Piave in forze. Nella notte del 30 iniziò il ripiegamento generale degli austroungarici da tutte le posizioni, mentre le armate italiane completarono la frantumazione in due parti del fronte austriaco a est e a ovest della linea Treviso-Belluno.
Alle 8.30 del mattino bersaglieri e lancieri raggiunsero Vittorio (Veneto). Al mattino del 31 gli italiani irruppero nel solco di Arten liberando Feltre e separando il fronte trentino da quello del Cadore.
Il numero del 3 novembre della Difesa del popolo esalta a tutta pagina “La nostra vittoriosa avanzata nei territori invasi” riportando i bollettini del comando supremi dal 25 al 30 ottobre, da dove si annunciava che «ad oriente del Piave le nostre armate continuano ad avanzare travolgendo il nemico che tenta invano di arginare la marcia».
E finalmente, nel numero del 10 novembre arriva la proclamazione della fine della guerra contro l’Austria con l’occupazione di Trento e lo sbarco a Trieste, domenica 3 novembre, e la cessazione delle ostilità alle ore 15 di lunedì 4 novembre, secondo quanto stabilito dall’armistizio firmato il giorno prima a villa Giusti di Padova.
Nella residenza padovana, che dopo Caporetto aveva ospitato brevemente anche il re, la delegazione austriaca era giunta la sera di mercoledì 31 ottobre, quando già le città venete erano imbandierate a festa per le notizie dei successi. Il plenipotenziario Nyekhegry si meravigliò dello stato di salute dei soldati italiani, «rosei, rubicondi, con visi ridenti, mangiano pane bianchissimo e allegramente cantano...».
La primissima mattina di venerdì 1° novembre giunsero da Parigi al Comando supremo di Abano le condizioni d’armistizio concertate tra i primi ministri dell’Intesa.
Ai plenipotenziari sembrarono troppo dure e chiesero indicazioni a Vienna ma la situazione militare stava precipitando per cui la resa fu firmata il 3 alle 18.40. Fu accettato anche il posticipo del cessate il fuoco al giorno successivo. Una grande bandiera venne appesa da un alpino su un maestoso albero del parco di villa Giusti. La guerra era vinta.
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