Il banco di prova della politica estera

Chi sta tenendo la barra dritta in un contesto convulso è, manco a dirlo, il presidente della Repubblica

Il banco di prova della politica estera

La politica estera è sempre più il banco di prova su cui si misurano le posizioni e le alleanze dei partiti e si valutano le scelte del governo nazionale. Ci si potrebbe perfino domandare – soprattutto per gli sviluppi della dimensione europea – fino a che punto sia ancora possibile separare nettamente interno ed estero, se non per comodità di comunicazione. Fatto sta che dopo l’aggressione russa all’Ucraina e l’avvento della presidenza Trump negli Usa, con la sua spregiudicata esibizione di volontà di potenza, sono saltati tutti gli schemi con cui finora eravamo soliti interpretare la realtà internazionale. Un rimescolamento pieno di incognite e di insidie che si proietta sullo scenario politico nazionale innescando contraddizioni all’interno delle alleanze, sia sul versante del governo che di quello dell’opposizione, e fin dentro i singoli partiti.
Dopo un iniziale sbilanciamento pro-Trump, la premier Meloni adesso sta cercando un percorso più equilibrato, nell’arduo tentativo di tenere insieme la solidarietà europea e i rapporti atlantici, messi a dura prova dalle intemerate del tycoon. Nella coalizione di governo, peraltro, la linea europeista del ministro degli esteri Tajani si scontra con quello che è stato definito il “trumputinismo” di Salvini. Nelle opposizioni Conte non rinuncia alle storiche connessioni con Trump e con la Russia, magari senza gli acuti della Lega, e la Schlein è alle prese con le opposte spinte dell’anima pacifista del partito e di quella “riformista” che punta sulla difesa europea rilanciata dal piano della Von der Leyen. E’ quest’ultimo, del resto, l’elemento di novità che ha fatto irruzione nel dibattito e che sta ulteriormente rimodulando gli atteggiamenti dei partiti e delle loro leadership. Il discorso sugli armamenti ha una componente strategica che rappresenta una sfida politica di enorme portata per il futuro dell’Europa anche oltre i confini della Ue, basti pensare al ruolo-chiave acquisito dal premier inglese Starmer. Ci sarà però a breve un anticipo significativo con il voto parlamentare sull’acquisto di altri venticinque F-35, i supercaccia previsti dal piano pluriennale della difesa. Una partita politicamente molto complessa perché in passato – nelle diverse responsabilità di governo che si sono succedute dal 2019 – M5S, Lega e Pd sono state a vario titolo coinvolte nel progetto e la posizione di oggi non potrà non tener conto di questo.
Chi sta tenendo la barra dritta in un contesto convulso è, manco a dirlo, il presidente della Repubblica. Sergio Mattarella rifugge senza tentennamenti da ambigui neutralismi tra aggressori e aggrediti e allo stesso tempo mantiene la lucidità necessaria a evitare fughe in avanti, come quando ha definito prematuro parlare di invio di truppe in Ucraina dal momento che i negoziati di pace non sono neppure iniziati. Ma la pace va cercata “con “convinzione” e “velocemente”, ha sottolineato il Capo dello Stato, una pace che “non mortifichi nessuna delle due parti ma che sia giusta perché sia duratura, perché una pace basata sulla prepotenza non durerebbe a lungo”.

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Fonte: Sir