29 aprile 1917: il pericolo socialista tornerà più forte di prima
A ridosso della festa del lavoro del 1° maggio 1917,la Difesa del popolo coglie l’occasione per aprire con una riflessione sul futuro del socialismo, che riassume e attualizza una lunga opposizione, aperta con la nascita stessa del settimanale diocesano.
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L’opposizione della Difesa del popolo ai socialisti, fatta con le argomentazioni e con la satira, risale al suo primo numero del 1908, con quella rubrica “Macchiette rosse”, che stigmatizza in forma polemica slogan e ipocrisie dei caporioni socialisti e dei loro seguaci.
Ora ci può sembrare un atteggiamento ovvio, ma che le riviste clericali che hanno preceduto il settimanale diocesano, tra Otto e Novecento, tendevano a sottovalutare l’ideologia socialista di stampo marxista, e la presa crescente che essa esercitava sugli operai e su larghi settori dei lavoratori dei campi, come i braccianti.
Il vescovo Luigi Pellizzo, fondatore della Difesa, aveva ben chiaro che la “riconquista” della società laicizzata da parte del cattolicesimo doveva avvenire sul piano delle idee e dei valori morali, ma anche su quello dell’azione sociale e politica, fondando in ogni paese della diocesi associazioni, leghe (sindacati) e cooperative “bianche”. Dopo i primi anni “ruggenti”, con l’allontanamento di don Restituto Cecconelli dalla guida del giornale e da tutte le attività “sociali”, questa linea d’azione, che aveva portato anche a dure contrapposizioni con il ceto padronale, dovette essere stemperata, ma non fu mai abbandonata.
La guerra fece sentire fin da subito i suoi effetti sugli schieramenti esistenti.
La prima vittima fu l’Internazionale socialista, che si dissolse con il coagularsi dell’universo interclassista delle nazioni. In modo analogo, va detto, le chiese europee non riuscirono a mantenere un atteggiamento unitariamente pacifista, facendo invece emergere il loro pieno inserimento nelle rispettive realtà nazionali.
Anzi, nei casi come in quello italiano in cui questo inserimento era ancora vacillante, la guerra ebbe un effetto di “riconciliazione” tra stato e chiesa.
Ma torniamo ai socialisti.
Quelli italiani si divisero con le dimissioni di Mussolini dalla direzione dell’Avanti e l’uscita, il 15 novembre 1914, del primo numero del Popolo d’Italia, nettamente interventista. Su di lui la condanna della Difesa fu secca e costante.
Il grosso del partito socialista restò comunque fedele allo slogan “Né aderire, né sabotare”, sostanziale ammissione di impotenza davanti alla guerra voluta dalla borghesia che, come dichiarò Filippo Turati, non avrà vincitore ma solo vinti.
Con l’entrata in guerra, la critica del settimanale diocesano nei confronti dei socialisti passa in secondo piano rispetto alla polemica contro i massoni, che hanno voluto la guerra anche per scalzare la presa della religione sulle masse, e contro coloro che considerano i cattolici, e i preti in particolare, “disfattisti” e filoaustriaci. Resta però la contrapposizione tra la pace auspicata dall’Avanti e quella perseguita dai cattolici, sulla scia delle parole del papa.
Come è scritto in un articolo del 6 febbraio 1916, “Come trionferà la pace”, il giornale socialista fa presente che una pace durevole non potrà essere ottenuta attraverso la vittoria di una delle due parti e lo schiacciamento del nemico, ma piuttosto con la piena e diffusa consapevolezza dell’orrore del sanguinoso ingranaggio bellico.
La Difesa aggiunge che l’orrore non basta, occorre una «pace nella fraternità», una pace cattolica che vede arrivare e passare attorno al papa «le correnti di tutti i popoli e tutte le nazioni, senza urtarsi, senza asprezze, senza antagonismi, senza lotte».
Non mancano gli articoli che riprendono gli interventi di alcune personalità socialiste per approvarne i contenuti, come accade per il numero del 14 maggio 1916 quando si riportano le parole di compianto per la libertà tradita del “noto socialista” Romain Rolland. Basterebbe un “piccolo passo”, commenta la Difesa, e questo «socialista sdegnoso» potrebbe riconoscere che l’unica libertà è quella insegnata dal vangelo...
Se però le polemiche immediate sembrano sopite, resta alta l’attenzione verso quello che potrebbe accadere alla fine della guerra.
Emblematico è l’articolo del 29 aprile 1917. Già la Difesa del 4 febbraio aveva aperto con il titolo “Andiamo al popolo” la sintesi degli interventi del convegno dirigenti del movimento cattolico.
«Dovunque – vi è scritto – il socialismo semina odio, accresce il disgusto, solletica passioni, prepara rivolte per il dopo guerra: forte del suo neutralismo... a parole si presenta al popolo come l’unico che gli è rimasto al fianco, l’unico che ha sposato la sua causa e lo difende. Non per una vergognosa gelosia, non per un interesse materiale, ma per il bene del popolo stesso, per il bene della società noi dobbiamo paralizzare opera tanto nefasta, soprattutto preparando ai soldati che torneranno al lavoro un terreno adatto dove possa fiorire la carità».
Abbiamo scritto
È proprio vero che l’attuale guerra è destinata a dare un colpo mortale al socialismo, a disorientarlo, a disorganizzarlo, a fargli perdere ogni influenza popolare, a condannarlo all’isolamento e all’impotenza?
Lo possono credere quei semplicisti che si lasciano illudere dal fatto che presentemente i socialisti hanno dovuto rinunziare a molte delle idee che formavano il bagaglio intellettuale del loro partito. Ma è un’illusione pericolosa che occorre spazzare. (...)
Il movimento socialista ha due forze: una politica, ed è quella che si chiama partito socialista, e l’altra economica, professionale, che è costituita dalle organizzazioni operaie.
Il movimento socialista agisce ispirandosi a due suoi principi fondamentali: la lotta di classe e la socializzazione dei mezzi di produzione. (...) La lotta di classe si accentuerà sempre più, perché la guerra accrescerà le disuguaglianze sociali per l’accumularsi delle ricchezze in mano di pochi e perché il socialismo saprà assai abilmente speculare sui dolori e sulle miserie che la plebe in modo particolare risentirà. Quindi anche il suo atteggiamento contrario alla religione subirà un rincrudimento.
Prepariamoci quindi a una rumorosa ed aspra levata di scudi del socialismo nostrano e se vogliamo impedire che la minacciata bufera abbia da rovinare quanto abbiamo di più caro, persuadiamoci che non vi è mezzo migliore che spiegare una intensa azione sociale e religiosa, diffondendo i buoni e sani principi morali, elevando le condizioni del proletariato e prendendo la difesa delle sue giuste ragioni.
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