28 agosto 1916, "La giornata delle tre guerre"
“La giornata delle tre guerre”: così la Difesa definisce il 28 agosto, giorno che resterà storico per la dichiarazione di guerra dell’Italia alla Germania, a cui si unì la dichiarazione della Rumenia (Romania) contro l’Austria e della Germania contro la Rumenia. La dichiarazione fu voluta dagli alleati per coinvolgere completamente lo stato italiano nelle operazioni belliche in corso.
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“La giornata delle tre guerre”
Così la Difesa definisce il 28 agosto, giorno che resterà storico per la dichiarazione di guerra dell’Italia alla Germania, a cui si unì la dichiarazione della Rumenia (Romania) contro l’Austria e della Germania contro la Rumenia.
I commentatori ritengono che sia soprattutto quest’ultimo atto diplomatico ad aprire la porta ad altri «avvenimenti strabilianti» nei Balcani, «tali da mettere la conflagrazione europea sopra un nuovo binario. Tutto è possibile nei Balcani dove da un giorno all’altro possiamo vedere attuate le cose più impensate. E guai a chi adopera il filo della logica nelle faccende della penisola».
L’articolo ipotizza l’aprirsi di un nuovo fronte di guerra lungo un migliaio di chilometri tra i confini dell’Austria-Ungheria e quelli della Romania e valuta il pericolo per gli imperi centrali rappresentato dalla chiusura del mercato granario rumeno. In realtà la guerra in Romania fu un vero disastro per l’Intesa: a gennaio del 1917 metà paese era stato invaso dalle forze tedesche e alla fine dell’anno, con il crollo della Russia, la Romania si trovò isolata e dovette sottoscrivere un armistizio separato con le potenze germaniche.
La dichiarazione di guerra dell’Italia alla Germania fu presentata come un “atto dovuto”, poiché di fatto i tedeschi erano già schierati accanto agli austriaci sul nostro fronte, con l’invio di armi e di alcuni reparti alpini.
«Si aggiungano – scrive il ministro degli esteri italiani alla Svizzera perché lo comunichino ai tedeschi – la riconsegna fatta dal governo germanico al nostro nemico dei prigionieri italiani evasi dai campi di concentramento austro-germanici e rifugiatisi in territorio tedesco; l’invito diramato agli istituti di credito e ai banchieri tedeschi, per iniziativa del Dipartimento imperiale degli affari esteri, di considerare ogni cittadino italiano come uno straniero nemico, sospendendo ogni pagamento dovutogli; la sospensione del pagamento agli operai italiani delle pensioni dovute in seguito a formale disposizione della legge germanica».
Per le ragioni sopra enunciate il governo italiano dichiara che l’Italia si considera, a partire dal 28 agosto, in stato di guerra con la Germania. In realtà la situazione era piuttosto complessa.
L’Italia non aveva fino a quel momento dichiarato guerra alla Germania per non acuire al di là del necessario i rapporti con un paese con il quale non avevamo diretti conflitti di interesse e con cui, finita la guerra, avremmo probabilmente riannodato gli antichi legami.
Gli storici sottolineano il fatto che Cadorna fu sempre convinto che la “spedizione punitiva” austriaca sul fronte trentino non sarebbe riuscita a sfondare proprio perché non avrebbe ottenuto l’appoggio tedesco.
Per contro, lo sfondamento di Caporetto riuscì proprio perché le forze austriache, logorate dai continui per quanto sterili attacchi italiani sul Carso, chiesero aiuto alle armate germaniche, meglio addestrate e meglio comandate.
La dichiarazione di guerra alla Germania fu chiesta dagli alleati all’Italia come prerequisito per condividere appieno gli accordi di Londra e per inserirci completamente nell’alleanza militare. L’invio di un corpo di spedizione italiano sul fronte macedone nel settembre del 1916 fa parte di questa nuova assunzione di responsabilità dell’Italia nella guerra.
La Difesa del popolo aveva avuto finora un atteggiamento “benevolo” nei confronti dei tedeschi, citati non di rado ad esempio per iniziative contro il lusso e la corruzione borghese.
Subito dopo la dichiarazione di guerra si preoccupa di appoggiare il segretariato “Unione emigranti” per le pratiche di prosecuzione della riscossione della pensione agli operai in Germania (10 settembre).
In un articoletto del 10 dicembre, comunque, a proposito di “Tedeschi e religione” si precisa, a dispetto di certi improvvisati storici e politici secondo cui la chiesa simpatizza per la Germania, che «recenti documenti dimostrano che il programma tedesco era fin dal 1870, sotto Bismark, quello di “estirpare il cattolicesimo per giungere più facilmente a un trionfo definitivo”. Bismark diceva anche, tra le altre cose, che l’unico elemento di forza per le razze latine è la religione: che le stesse razze latine non tarderanno a sparire quando sarà vinto il cattolicesimo. Da ciò si vede a luce meridiana come lavorino per i tedeschi quanti combattono il cattolicesimo. L’anticlericalismo è prussiano, come lo era in Francia».
A proposito di “austriacanti”, s’aggiunge subito dopo che i cattolici avversano in egual modo i principi funesti del “giuseppinismo”, della “burocrazia” e dello “statismo” che opprimono il clero ma anche il popolo.
Abbiamo scritto
La prima pagina del 3 settembre 1916 si apre con l’annuncio della dichiarazione di guerra dell’Italia alla Germania, che s’intreccia con altre dichiarazioni portando a un ulteriore inasprimento del conflitto.
Di spalla si colloca un trafiletto scandalizzato che riporta un provocatorio intervento del Popolo di Benito Mussolini.
È un dovere, doloroso e ingrato, ma pur utile e necessario che noi seguiamo ciò che dicono gli interventisti più ufficiali a spiegazione degli avvenimenti che essi attribuiscono a loro merito.
La guerra alla Germania dal Popolo di Mussolini è decantata come una sua vittoria. E con questo linguaggio l’interventismo purosangue svolge il proprio pensiero:
«Abbiamo vinto anche questa dura prova. La guerra alla Germania di Lutero e del Papa rumoreggia già per le vie, si abbatte con un’onda gagliarda di pagana letizia sui confini e balena selvaggia alle porte delle caste cattedrali italiane che ne trassaltano: la guerra contro le orde dei piedi di scimmia; la guerra ultima, la cartuccia più micidiale, la bestemmia più satanica che ci bruciava e ci piagava la gola, scoppia – oggi – dalla nostra bocca rossa e ingorda, come un grido di risurrezione. È Pasqua, bella e infedele. I lupatti giovanetti intorno alla preda coi denti e con le unghie. Le carni tedesche palpitanti gocciolano sangue sotto ai nostri morsi. E sul nostro muso bestiale e sulla nostra arsura feroce e sulla nostra bocca che ride atrocemente le prime gocce di sangue scolano come baci perversi. La nostra bestemmia rompe col calcagno famoso le ali alla preghiera. I nostri cannoni tuonano come la voce di dio».
Noi chiediamo ancora una volta scusa ai lettori se costretti a riportare questi squarci di bestemmia. Ma è bene che da parte nostra si risponda che essi sono l’espressione turpe della follia e della delinquenza guerresca. La causa della patria non può avere nulla in comune con queste bestemmie.
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