25 luglio 1915: eroici preti con le stellette
Sui campi di battaglia ormai si combatte e si muore ogni giorno. Accanto ai soldati, ecco l'opera silenziosa e spesso eroica dei cappellani militari. Tre storie esemplari, di coraggio e altruismo, raccolte dalle corrispondenze di guerra di giornali "laici", occupano la prima pagina della Difesa del popolo del 25 luglio.
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Un pretone friulano che si carica in spalla due soldati feriti e li riporta dietro le linee tra il fischiare delle pallottole; un altro che tra le granate non perde la testa e nel fuggi fuggi generale si prodiga per spegnere l’incendio tra le tende di un ospedaletto da campo, salvando i feriti che non si potevano muovere; un “bravo sacerdote” che esce allo scoperto davanti a una cascina-ospedale sventolando un bandierone “bianco crocesignato” sotto il fuoco austriaco, finché il nemico non sospende i tiri.
Sono tre episodi eroici attribuiti ad altrettanti cappellani militari riportati nel numero 30 della Difesa del popolo del 25 luglio 1915. La guerra è appena scoppiata ma il settimanale diocesano si preoccupa di segnalare, attraverso le testimonianze di giornali “laici” come il Giornale d’Italia e il Momento di Torino, il coraggio e l’abnegazione di questi preti che affiancano i soldati come presenza “ufficiale” della religione (c’erano anche cappellani evangelici, battisti ed ebrei).
Il cappellano militare, va detto subito, è una figura diversa rispetto al prete-soldato
Furono 25 mila gli ecclesiastici, preti (15 mila), religiosi, seminaristi, richiamati alle armi nell’esercito italiano come semplici soldati nel corso della guerra e inviati spesso in prima linea. Solo se incontravano dei superiori particolarmente sensibili venivano assegnati a unità sanitarie.
Quella dei cappellani militari invece era un’istituzione ufficiale dell’esercito italiano esistente già nel Regno di Sardegna. Aboliti dopo la campagna del 1866 per “risparmiare”, ma in realtà a causa del forte antagonismo esistente tra stato e chiesa (solo la marina li mantenne, fino al 1878), furono reintrodotti dal “cattolicissimo” generale Cadorna, capo di stato maggiore, alla vigilia del conflitto, il 12 aprile 1915.
Il loro compito più importante era quello di raccogliere le pene e le confidenze dei soldati, facendo da ponte tra l’orrore della trincea e i ricordi del proprio paese e della propria famiglia.
Questi “preti con le stellette” soccorrevano i feriti, confortavano i moribondi, identificavano i caduti, raccoglievano i loro oggetti personali per trasmetterli alla famiglia, ne curavano la sepoltura preoccupandosi che le salme potessero essere identificate in vista della successiva esumazione. Dal punto di vista morale, combattevano la pornografia, ma erano piuttosto tolleranti con la bestemmia.
Nel corso della guerra i cappellani caduti furono 93. Tre meritarono la medaglia d’oro, 137 quella d’argento (tra cui il padovano don Giovanni Rossi, cappellano del primo reggimento Granatieri di Sardegna), 299 quella di bronzo, 94 le croci al valor militare.
Il racconto dell'inviato del Giornale d'Italia Gino Calza Bedolo
«Degni di ammirazione e di riconoscenza, si dimostrano senza riserve i nostri cappellani militari. Sul campo di battaglia son diventati amici di tutti, anche di quei soldatoni fiorentini che tirano moccoli con più facilità di quel che si soffiano il naso... Hanno saputo farsi amare. Sono dei patrioti convinti, sono degli uomini di fegato e sanno compiere il loro apostolato di bontà e di fede con soavità veramente francescana. I più sono vestiti di uniformi grigio verde dal cappello alla tonaca. E portano fieramente sul petto una coccarda tricolore e al bavero le stellette militari. Nessun sottotenente ebbe mai dai suoi soldati un saluto così rispettoso.
I più, sul campo di battaglia, montano a cavallo: ce n’è uno quassù aggregato a un reggimento di cavalleria che salta ostacoli alla perfezione come se in vita sua non avesse fatto che concorsi ippici. Molti di questi cappellani fin dai primi scontri hanno mostrato un coraggio e una serenità straordinari. Si son tenuti fra i soldati nella prima linea di fuoco e, disarmati, hanno affrontato talvolta anche le peripezie di un attacco alla baionetta. Si sono fatti adorare per questo loro coraggio semplice, che si nasconde nella modestia della loro missione evangelica.
Spesso sulla linea di fuoco si trasformano in medici o in porta feriti. Uno di essi, cappellano di un reggimento di alpini, trovatosi a uno scontro sotto Monte Nero portò a salvamento sotto la mitraglia due soldati feriti caricandoseli sulle spalle. È un prete delle montagne friulane, capace, a vederlo, di stordire un toro con un pugno. Sono tutti magnifici. Non vidi mai cappellani così ammirevoli in nessun altro campo di battaglia. Mi narrano che uno di essi ricevette dal Re alcune nobili parole di ammirazione e di elogio: ond’egli, confuso di così augusta bontà, non seppe alla fine dir altro che questo: “Maestà, il mio dovere m’impone di servire Iddio, la mia Patria, il mio Re... sono sacerdote per questo...”».
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