2 settembre 1917: preghiera e penitenza per la pace
Sulla Difesa del 2 settembre 1917, la prima pagina è interamente occupata dall’appello del vescovo Pellizzo alla preghiera e alla penitenza per il dono della pace “secondo i desideri del Santo Padre”, che nei primi giorni di agosto aveva mandato ai governi dei paesi belligeranti una nota che li invitava a iniziare trattative di pace.
Se il pontificato di papa Benedetto XV non può essere racchiuso tutto in quella «inutile strage» con cui egli volle definire la grande guerra nella celebre nota alle potenze belligeranti, è pur vero che quel succinto documento, redatto in francese e inoltrato per via diplomatica a tutti i governi coinvolti nel conflitto ormai dilagante da tre anni, ne rappresenta una pietra miliare.
Non tanto per gli esiti, poiché è noto che fu ricusato, con formule diverse, da tutti i contendenti, ma per il cambiamento di stile che presuppose: anzitutto furono messe da parte le esortazioni, accorate ma generiche e moralistiche, per stilare un elenco preciso di punti di riferimento, base minima da cui partire per sedersi al tavolo delle trattative e stilare una pace «giusta e duratura».
Ed erano punti chiari: diminuzione simultanea e reciproca degli armamenti e istituzione di un arbitrato. Libertà di comunanza dei mari. Intera reciproca condonazione dei danni e delle spese di guerra, salvo casi speciali da esaminare. Restituzione reciproca dei territori attualmente occupati, conseguentemente del Belgio e delle province francesi da una parte e delle colonie tedesche dall’altra. Esame delle questioni territoriali, per esempio, tra Italia e Austria, tra Germania e Francia, da farsi con disposizioni concilianti e tenendo conto delle aspirazioni dei popoli. Così parimenti delle altre questioni territoriali e politiche specialmente relative ad Armenia, stati balcanici e Polonia.
Come arrivò il papa alla definizione di questi punti e alla loro proposta alle grandi potenze? Qui la storia si fa più complessa. Fin dalla sua salita al soglio pontificio, a guerra appena iniziata, Giacomo Della Chiesa, arcivescovo di Bologna, cardinale da pochi mesi, aveva scelto di impegnarsi per ristabilire la pace mantenendosi fermamente equidistante dalle parti in campo. La prima enciclica definisce la guerra spettacolo tetro e luttuoso, che con moderni, orribili mezzi militari è causa di gigantesche carneficine. In interventi successivi si parlerà di «orrenda carneficina che disonora l’Europa» e di «suicidio d’Europa», espressione ripresa anche nella Nota.
Il nuovo papa non smetterà di condannare puntualmente le violazioni delle leggi dell’umanità e del diritto internazionale compiute per terra, per mare, e anche dal cielo (vedi l’eccidio padovano), senza però pronunciare giudizi e condanne specifiche contro i trasgressori. I suoi messaggi, e anche questa è una novità importante e lungimirante, si rivolgono a tutti gli uomini e non solo ai cattolici, e fanno riferimento al diritto internazionale e alle norme universali e naturali dell’etica, specie in difesa degli oppressi.
Benedetto XV si appella a criteri laici umanitari e giuridici additando valori che la società civile considera impegnativi per tutti. Per allargare la tribuna dei suoi interlocutori inviò nunzi e accolse rappresentanti delle nazioni. Gli stati accreditati presso la Santa Sede passarono da 14 a 27. Fin dai primi mesi del suo pontificato aveva inoltre intrapreso iniziative diplomatiche per scongiurare l’allargamento del conflitto, compresa l’entrata in guerra dell’Italia. Da subito aveva dato avvio a un’imponente campagna di soccorsi ai profughi civili e ai prigionieri, promuovendo lo scambio di quelli invalidi e malati, portando il Vaticano sull’orlo della bancarotta. Una “diplomazia del soccorso” che mantenne fermo il principio dell’equidistanza al punto che fu la Turchia a erigergli, dopo la fine della guerra, un monumento in segno di riconoscenza; monumento davanti al quale sostò il preghiera nel 2007 un altro Benedetto, il XVI.
«Le parole e i gesti di papa Della Chiesa – ha detto il segretario di stato mons. Pietro Parolin aprendo un recente convegno sul “papa sconosciuto” – aprono una via: la chiesa non deve solo decidere cosa dire, ma anche cosa fare e non a caso verrà percepita come una “seconda Croce Rossa”».
Ma veniamo alla Nota famosa. Il 1917 si presentò subito come un anno di svolta nella guerra, con l’insurrezione in Russia e la discesa in lizza degli Stati Uniti. Gli stati centrali avevano avanzato alcune ambigue proposte di pace e anche il presidente americano Wilson, prima dell’intervento, aveva fatto qualche passo in questa direzione. La situazione in Germania faceva pensare che ci fosse spazio per una pace senza vincitori assoluti. Lo stesso imperatore d’Austria, il giovane Carlo, sollecitò un intervento pontificio e il nuovo nunzio apostolico in Baviera, mons. Eugenio Pacelli, fu ricevuto dal kaiser Guglielmo II e poi dall’imperatore. Era previsto a breve un vertice dell’Intesa a Londra, così Benedetto XV decise di agire.
Ma la Nota fu respinta in toto: il papa fu definito dalla stampa francese “Pape boche”, da quella tedesca “Franzosenpapst”, dal romanziere Léon Bloy “Pilate XV” e dagli italiani, dopo Caporetto, “Maledetto XV”. Cosa era accaduto? Che proprio l’enormità di quella “inutile strage” rendeva impossibile a entrambi i contendenti accontentarsi di una pace di compromesso.
I tedeschi non volevano cedere né il Belgio né l’Alsazia e la Lorena. L’imperatore Carlo dovette ammettere che nessuna concessione significativa poteva essere fatta all’Italia. E soprattutto Wilson, che pure stilerà i suoi 14 punti tenendo d’occhio quelli del papa, aveva deciso che la guerra, nata per obiettivi imperialisti da ambo le parti, poteva giustificarsi davanti all’opinione pubblica solo diventando una guerra ideologica, volta a «liberare i popoli liberi del mondo – come fece rispondere al papa dal suo segretario – dalla minaccia e dall’effettivo potere di un vasto complesso militare controllato da un governo irresponsabile che aveva segretamente pianificato il dominio del mondo». La guerra effettivamente finì con il rovesciamento del regime tedesco e la fine dell’impero austro-ungarico filocattolico, come aveva deciso la massoneria europea. Il papa, come chiesto dall’Italia, non partecipò alle trattative di Versailles. Ma la punizione dei vinti ciecamente imposta trasformò la pace “giusta e duratura” in una ribollente tregua ventennale.
Abbiamo scritto
Figliuoli carissimi! Ecco il nostro compito molto chiaro e preciso: «Unirci tutti al Santo Padre nella preghiera e nella penitenza per ottenere dal Divin Spirito lume e consiglio» ai capi dei popoli belligeranti perché abbiano ad accordarsi, come li esorta il Sommo Pontefice, sopra i capisaldi di una pace giusta e duratura, tenendo conto delle nazionali aspirazioni. Ed è questo e null’altro che io quale Pastore delle anime intendo con questa mia lettera: suggerirvi cioè e raccomandarvi la preghiera e la penitenza. Uniamoci in questo al Santo Padre quanti sospiriamo la pace.
Ne in questo potremo essere accusati di voler deprimere lo spirito pubblico e di concorrere a menomare la resistenza interna. Anzitutto nessuno ignora come in due anni di guerra tutti voi, nessuno eccettuato, avete mirabilmente cooperato con molteplici opere di assistenza per tenere alto lo spirito pubblico del nostro popolo: alla materiale e morale assistenza, avete unito la forza più viva e più potente che sia nel cuore del nostro buon popolo cristiano: il sentimento religioso, che, dietro le mie prescrizioni, avete tenuto sempre vivo colle frequenti funzioni e pie pratiche compiute. Ricordo solo, a titolo di onore, la indimenticabile funzione per la pace al Santo la domenica 22 aprile alla quale, sebbene in forma privata, partecipò lo stesso generale Luigi Cadorna comandante supremo dell’esercito col suo seguito venutovi espressamente per prostrarsi all’Arca del grande Taumaturgo. (...) Ora, dopo questo esempio, chi oserà accusarci che deprimiamo lo spirito pubblico, raccomandando la preghiera e la penitenza, alimento potentissimo e vivificatore di quel sentimento religioso che è l’anima del nostro popolo che, anziché deprimere il pubblico spirito, ne è il più valido sostegno ed avvia ed incoraggia ad affrontare e sopportare con cristiano eroismo, come vediamo, ogni più grave sacrificio? No non temiamo: la preghiera e la penitenza raccomandata dal Papa non deprime ma solleva il nostro spirito, rendendoci forti della stessa forza della divinità alla quale la preghiera ci unisce. Il cristiano nella sua fede trova una forza meravigliosa per resistere e sostenere i disagi della vita tenendo l’occhio al cielo e non si abbandona a deplorevoli atti.
Ma la raccomandazione e la pratica della preghiera e della penitenza non deprime lo spirito pubblico anche se le nostre preghiere hanno inoltre per iscopo nobilissimo di abbreviare gli orrori della guerra con l’avvento di quella pace che propone il Papa e che è ormai nel desiderio di tutti i popoli.
Acquista la prima pagina del 2 settembre 1917 in formato ad alta risoluzione nel nostro e-shop.