Dalla Tuscia a Cismon, storie di preti nella Grande Guerra
Don Angelo Massi, viterbese doc, già parroco del santuario della Madonna della Quercia nella città dei papi ed ex cappellano militare di lungo corso, è da tempo un assiduo frequentatore dell’altopiano dei Sette Comuni: forse sono state proprio le giornate di riposo fra le montagne asiaghesi così cariche di vestigia, a spingerlo a scrivere Preti della Tuscia nella Grande Guerra.
Il libro, edito da Quatrini (pp 191, euro 15,00), colma una lacuna nelle celebrazioni centenarie rendendo omaggio alla memoria e alle sofferenze di tanti ecclesiastici: pochi, pochissimi finora gli studi e le indagini dedicate ai sacerdoti con le stellette in guerra.
La ricerca certosina di don Angelo ha riguardato i preti dell’Alto Lazio mobilitati in «territorio dichiarato in stato di guerra»: in tutto oltre cinquecento compresi i seminaristi e gli studenti degli istituti religiosi, alcuni dei quali personalmente conosciuti da don Massi, che in questa pubblicazione ha raccolto le loro esperienze.
La maggior parte erano dislocati sulle montagne venete, dalle Dolomiti alle Prealpi vicentine, dal Grappa al Montello; o hanno sostato in paesi e città venete di retrovia, Padova compresa; dunque c’è molto, moltissimo Veneto nelle sue pagine. Qualche esempio.
Il seminarista Ubaldo Ponzianelli, aiutante di sanità, narra di essersi fermato qualche giorno nella città del Santo e di aver visitato Sant’Antonio, «una bellissima basilica» egli scrive, quindi parte in ferrovia alla volta del fronte dolomitico, di cui invierà numerosi resoconti dalle località di Alleghe, Pieve di Livinallongo, Andraz, Rocca Pietore, per poi spostarsi sulla linea del Grappa nel settore di val San Lorenzo, non lontano da Solagna.
Don Costantino Pelinga da Civita Castellana (Viterbo) trascorse la seconda metà del 1917 in qualità di cappellano presso «l’ospedaletto da campo n. 0167 costruito in legno a Cismon». Nelle sue memorie questi annota diligentemente: «Fondai a Cismon una casa o meglio una sala per il soldato convalescente, la quale era corredata di tutto. La piccola biblioteca era anche per gli ufficiali detenuti nel carcere militare di Cismon, che spesso visitavo perché desiderato».
Maceratese di Treia ma incardinato nella diocesi di Orte è don Pacifico Arcangeli, cappellano del reggimento di fanteria Massa e Carrara, che perse la vita in combattimento eroicamente sul Grappa il 6 luglio 1918: fu uno dei tre cappellani insigniti della medaglia d’oro.
Questa la motivazione: «Ottenuto dopo viva insistenza di unirsi alla prima ondata d’assalto, slanciavasi, munito soltanto di bastone, alla testa dei più animosi giungendo per primo sulla trincea nemica. Colpito mortalmente al ventre da una scheggia di granata, incurante di sé, rimaneva in piedi appoggiato a un albero ad incorare i soldati».