Papa Francesco: Ruffini, “ci ha chiesto di accettare le sfide del nostro tempo, ma di restare umani”

La valigia del prefetto del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede è piena di ricordi di Papa Francesco che restano nel cuore. Li confida al Sir, in un'intervista che ripercorre a tutto tondo il rapporto speciale di Bergoglio con la comunicazione e i comunicatori. "In un tempo di disintermediazione come il nostro, era convinto di aver bisogno anche di noi giornalisti per comunicare il messaggio del Vangelo"

Papa Francesco: Ruffini, “ci ha chiesto di accettare le sfide del nostro tempo, ma di restare umani”

Quella volta che, da direttore di Tv2000, si è sentito “incoraggiato a costruire una comunicazione in uscita, capace cioè di uscire dal recinto di coloro che già frequentano la Chiesa”. Oppure i viaggi, soprattutto quelli nei Paesi di missioni con comunità cattoliche molto piccole, ma anche quelli nei Paesi dove i cattolici sono più numerosi, come in Africa, “dove moltitudini immense hanno confermato nella fede ognuno di noi, mentre il santo Padre confermava loro nella fede”. O ancora il viaggio a Bruxelles, in un Paese secolarizzato dove  dopo l’arrivo del Papa i giovani  si sono autoconvocati contribuendo a riaprire chiese dove nessuno entrava più e facendo aumentare il numero dei battesimi degli adulti. La valigia di Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede, è piena di ricordi che restano nel cuore. Segni indelebili di un Papa come Francesco, che sul piano comunicativo “ci ha chiesto di accettare le sfide del nostro tempo, chiedendoci nello stesso tempo di restare umani”. Lo abbiamo intervistato.

Papa Francesco è stato un papa che ha creduto nella comunicazione. Penso alle sue prime parole, dalla Loggia delle Benedizioni, con quel suo “buonasera” e l’intenzione di cominciare un cammino “vescovo-popolo”.

Papa Francesco ha sempre inteso la comunicazione come relazione.

Tutti i suoi messaggi ci dicono che la comunicazione è un incontro vero con la persona, che non è mai un monologo, un messaggio a senso unico, tanto meno propaganda o proselitismo.

Per lui la comunicazione è basata prima di tutto sull’ascolto, e non solo sulla capacità di portare un messaggio. Secondo Francesco è essenziale l’empatia con le persone, il farsi carico dell’altro, di chiunque mi si presenti davanti.

E’ ai giornalisti che, due giorni dopo l’elezione, Bergoglio ha rivelato il suo sogno di Chiesa: “Come vorrei una Chiesa povera per i poveri!”. Abbiamo saputo raccontarlo?

Alla fine, credo di sì, nonostante tanti equivoci, semplificazioni, errori, strumentalizzazioni.

In un tempo di disintermediazione come il nostro, Papa Francesco era convinto di aver bisogno anche di noi giornalisti per comunicare il messaggio del Vangelo.

Il nostro mondo, a volte, ha semplificato troppo, troppe volte ha dato letture sbagliate o non ha colto la profondità spirituale che c’era dietro alcune affermazioni papali, lette solo con gli occhi del mondo o della politica, ma che invece affondavano nelle radici del Vangelo. Nonostante tutto questo, credo che alla fine il messaggio di Papa Francesco sia arrivato al cuore di tutti, perché per lui nella Chiesa c’era posto per tutti, e tutti hanno capito il suo messaggio. Papa Francesco, inoltre, ha saputo sempre accettare anche le critiche, perché le aveva messe in conto. Ha sempre cercato di costruire un incontro con i giornalisti, anche con quelli che lo hanno criticato. Accettava le critiche perché, diceva, ‘c’è bisogno di voi’. Sapeva vedere al di là delle apparenze: rispettava e accettava anche le interpretazioni non esatte perché ciò che riteneva indispensabile era il dialogo.

Negli ultimi messaggi per la Giornata mondiale elle comunicazioni sociali, Bergoglio ha insistito sulla “cultura digitale”, mettendo tuttavia l’accento sui pericoli di una sorta di disumanizzazione, nei rapporti personali.

Il Papa ha sempre provato a non aver paura di forme nuove di comunicazione, come le nuove tecnologie, ma non ha mai neanche smesso di pensare che il nostro intelletto e il nostro cuore sono legati e non possono essere delegati ad una macchina. La rete, le nuove tecnologie, l’intelligenza artificiale sono invenzioni geniali dell’uomo, e noi non possiamo pensare di vivere in un altro tempo diverso dal nostro. Quello che bisogna combattere, però, per il Papa, non è l’intelligenza artificiale, ma la stupidità umana: dobbiamo guidare l’intelligenza artificiale e non esserne guidati.

Ci ha chiesto di accettare le sfide del nostro tempo, chiedendoci nello stesso tempo di restare umani:

si può sintetizzare così l’atteggiamento di Francesco nei confronti dei progressi tecnologici in materia di comunicazione. L’errore più grande sarebbe quello di volerci separare dalla nostra umanità, e quindi da Dio, pensando di delegare a una macchina – che non è generativa, ma compilativa – la nostra visione del mondo.

Anche il modo di vivere la sofferenza è stato un modo di comunicare un messaggio al mondo, per Papa Francesco, che nel suo testamento ha rivelato di aver offerto l’ultima parte della sua vita per la pace.  Come raccogliere questa eredità, in un’epoca in cui, anche sul piano comunicativo, sembra prevalere la logica della polarizzazione e dello scontro?

A più riprese il Papa ha esortato a disarmare i cuori, ad utilizzare una comunicazione disarmata.

Anche il modo in cui ha vissuto l’esperienza della fragilità è stato un modo per re-insegnare a tutti che accettare la sofferenza è già un modo per superarla.

I suoi discorsi per la pace e contro la guerra sono una lezione di memoria e di storia, in cui ha ribadito, sulla linea del magistero dei papi che l’hanno preceduto, che solo insieme si può trovare la strada per superare le difficoltà, non odiandosi ma essendo capaci di relazionarsi anche con i nemici. Se la comunicazione è vissuta solo in termini di sconfitta e di vittoria, la vittoria diventa fallimentare, perché peggiora i problemi invece di risolverli. Una comunicazione tutta basata sul paradigma della guerra, che esclude parole come il perdono o la pace, si sbriciola presto.

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Fonte: Sir