Idee

“Oggi le possibilità di un dialogo sono molto fragili”, osserva il giornalista, per anni corrispondente da Mosca. “La speranza, molto debole, è che Paesi come India, Sud Africa, Argentina, Brasile… si mettano insieme per svolgere un’azione che porti al raggiungimento di una tregua” ma – rileva – “a questo tentativo non devono mettersi di traverso non solo Russia e Ucraina ma anche Usa e Ue perché altrimenti l’ipotesi svanirebbe molto rapidamente”

Quanto è corta la nostra memoria? A tre anni dallo scoppio della pandemia da Covid-19, la domanda è più che lecita. L’isolamento di intere aree di territorio, i lockdown, i duecento metri da casa concessi per gli spostamenti, i tamponi compulsivi, la fame d’aria di fragili e anziani che non ce l’hanno fatta, la pietosa processione di camion militari in partenza da Bergamo, dove i cimiteri non erano capienti abbastanza per accogliere tutti quei morti.

“Quello di Putin è stato il discorso che ci si poteva aspettare dopo il 1° anno di guerra. Lo possiamo definire il discorso dell’orgoglio, non tanto per le ‘imprese’ militari per le quali non c’è particolarmente da vantarsi, quanto per il fatto che la Russia abbia resistito a quello che i russi interpretano come un attacco concentrico dell’Occidente nei loro confronti”.

Il 24 febbraio ricorre un anno dall'aggressione militare russa all'Ucraina. Morti e distruzioni segnano, come nel passato, il vecchio continente. L'Unione europea, come gli Stati Uniti, è giustamente al fianco di Kiev. E si promettono nuovi armamenti. Ma può essere questa l'unica strada per riportare la pace? Oppure occorre insistere per rimettere in campo la politica e la diplomazia? Ricordandosi che da un conflitto nessuno esce vincitore

Sono i partiti il fulcro – nel bene e nel male – del meccanismo alla base della nostra democrazia. E’ al loro livello che il meccanismo si è inceppato.