Ucraina, un anno dopo. Se affidarsi alle armi o alla politica
Il 24 febbraio ricorre un anno dall'aggressione militare russa all'Ucraina. Morti e distruzioni segnano, come nel passato, il vecchio continente. L'Unione europea, come gli Stati Uniti, è giustamente al fianco di Kiev. E si promettono nuovi armamenti. Ma può essere questa l'unica strada per riportare la pace? Oppure occorre insistere per rimettere in campo la politica e la diplomazia? Ricordandosi che da un conflitto nessuno esce vincitore
“Non dobbiamo dimenticare che solo una soluzione politica può porre fine a questa sofferenza”. Parole del commissario europeo alle crisi, Janez Lenarčič, che rimandano immediatamente all’Ucraina e che probabilmente ciascuno sottoscriverebbe e farebbe proprie. Occorre una soluzione politica per portare alla pace, per porre fine a violenze, lutti e distruzioni. Per restituire dignità e serenità alle popolazioni flagellate dalla prevaricazione e dalle armi. Parole… pronunciate il 20 febbraio al Forum umanitario internazionale di Riyadh a proposito del conflitto in corso da anni nello Yemen.
Nessun vincitore. Ha ragioni da vendere Lenarčič: e il suo invito a sedersi attorno a un tavolo per dire basta alla guerra dovrebbe valere anche per l’Ucraina. Anzi, per tutti i conflitti che insanguinano il mondo.
Per questa ragione ci si poteva augurare che la visita del presidente Usa Joe Biden a Kiev andasse nella direzione di un fermo e convinto richiamo alla politica e alla diplomazia.
Ma i discorsi risuonati sono stati altri: armi e aiuti militari, fino alla “vittoria”. Allo stesso modo si è espresso Josep Borrell, Alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza comune, all’inizio del Consiglio affari esteri del 20 febbraio: “più armi, e in fretta, all’Ucraina”. Eppure è risaputo che da ogni guerra non emergono – mai – vincitori. Solo popoli violentati, città distrutte, ferite che facilmente si rimargineranno.
Ancora armi. “Un anno dopo l’invasione e l’inizio della guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina”: è il titolo della risoluzione che il Parlamento europeo ha approvato il 16 febbraio durante la sessione plenaria di Strasburgo. Un testo – preceduto da una vivace discussione in emiciclo e approvato ad ampia maggioranza (444 voti favorevoli, 26 contrari e 37 astensioni) – che dice molto su come l’Unione europea sta affrontando il conflitto che da un anno insanguina questa parte del continente. Il documento conferma, e giustamente, piena solidarietà al popolo ucraino. Denuncia l’aggressione della Russia, invita l’Ue a rafforzare le sanzioni contro Mosca e i suoi alleati. Suggerisce di utilizzare i beni russi congelati dall’Ue per ricostruire l’Ucraina. Indica al Consiglio e alla Commissione di avviare immediatamente i negoziati di adesione all’Unione europea. Poi chiede, ancora una volta, all’Ue e ai suoi 27 Stati membri di prendere in considerazione la fornitura all’Ucraina di nuovi armamenti e persino di aerei da combattimento.
“Vincere la guerra”. La risoluzione parlamentare va nella direzione di esplicito un appoggio al Paese aggredito, vittima dell’imperialismo di Vladimir Putin: difendere la propria vita, quella della propria famiglia, del proprio popolo, difendere la propria casa e la propria terra è una opzione (e un diritto) umanamente comprensibile, irrinunciabile. Ma nel testo forse si va oltre.
All’articolo 8 della risoluzione il Parlamento Ue “sottolinea che l’obiettivo principale dell’Ucraina è vincere la guerra contro la Russia”,
intesa come “la capacità dell’Ucraina di spingere al di fuori del proprio territorio riconosciuto a livello internazionale tutte le forze russe e i loro associati e alleati”; ritiene dunque che “tale obiettivo possa essere conseguito solo attraverso la fornitura continua, sostenuta e in costante aumento di tutti i tipi di armi all’Ucraina, senza alcuna eccezione”.
Difendersi e contrattaccare. Non bastasse, ecco l’articolo 18, con il quale il Parlamento europeo “ribadisce il proprio sostegno alla fornitura di aiuti militari all’Ucraina per tutto il tempo necessario; riconosce gli sforzi compiuti dagli Stati membri nel fornire e nel coordinare il sostegno militare per consentire all’Ucraina di esercitare il suo legittimo diritto di difendersi nel contesto della guerra di aggressione russa”;
ribadisce tuttavia il suo “invito agli Stati membri ad aumentare e ad accelerare in modo sostanziale il loro sostegno militare”
per consentire all’Ucraina “non solo di difendersi dagli attacchi russi, ma anche di riconquistare il pieno controllo di tutto il suo territorio riconosciuto a livello internazionale”. L’Europarlamento invita “gli Stati membri, gli Stati Uniti, il Regno Unito e il Canada a onorare rapidamente il loro impegno a fornire all’Ucraina carri armati da combattimento moderni; sottolinea l’importanza di mantenere uno stretto coordinamento e unità tra gli alleati dell’Ucraina per quanto riguarda l’analisi delle richieste critiche di armi pesanti e sistemi avanzati di difesa aerea da parte delle autorità ucraine; invita a prendere seriamente in considerazione la possibilità di fornire all’Ucraina aerei da combattimento, elicotteri e adeguati sistemi missilistici occidentali e un sostanziale aumento delle consegne di munizioni”.
“Non dobbiamo dimenticare…”. Pur nel comprensibile coinvolgimento dell’Ue accanto all’Ucraina, che si è misurato anche negli aiuti umanitari, nell’accoglienza dei profughi, nelle visite dei leader europei che hanno stretto la mano del presidente Zelensky,
questo vocabolario bellicista aiuterà davvero l’Ucraina ad uscire dalla morsa russa?
Farà compiere un passo verso la pace invocata e attesa? Aiuterà Kiev ad avviare la ricostruzione del Paese? Il primo e vero e grande obiettivo che tutti si dovrebbero porre è quello di restituire pace e giustizia al popolo ucraino. Ma, come afferma giustamente il commissario Lenarčič, “non dobbiamo dimenticare che solo una soluzione politica può porre fine a questa sofferenza”.