In sala per Natale “Mufasa. Il re leone”, “Io e te dobbiamo parlare” e “Una notte a New York”
Il cerchio della vita. Prosegue il racconto della famiglia di Simba, che il pubblico ha scoperto nel 1994 con “Il re leone”, divenuto uno dei cartoni della Disney più amati di sempre. A distanza di trent’anni, ecco arrivare nelle sale per l’appuntamento natalizio “Mufasa. Il re leone”, prequel che ricostruisce la storia del padre di Simba, con una veste grafica suggestiva e iperrealistica. Rai Cinema scommette invece sulla coppia Alessandro Siani e Leonardo Pieraccioni con “Io e te dobbiamo parlare”, scritto e diretto dallo stesso Siani. Infine, esce con Lucky Red “Una notte a New York", opera prima scritta e diretta da Christy Hall, un dialogo esistenziale tra due sconosciuti in un taxi
Il cerchio della vita. Prosegue il racconto della famiglia di Simba, che il pubblico ha scoperto nel 1994 con “Il re leone”, divenuto uno dei cartoni della Disney più amati di sempre. A distanza di trent’anni, di vari sequel animati o in live-action, ecco arrivare nelle sale per l’appuntamento natalizio “Mufasa. Il re leone”, prequel che ricostruisce la storia del padre di Simba, con una veste grafica suggestiva e iperrealistica. La regia è del Premio Oscar Barry Jenkins, le voci italiane di Luca Marinelli, Elodie e Alberto Boubakar Malanchino. Rai Cinema scommette invece sulla coppia Alessandro Siani e Leonardo Pieraccioni con “Io e te dobbiamo parlare”, scritto e diretto dallo stesso Siani. Una commedia degli equivoci su due poliziotti disastrosamente schierati nella lotta al crimine. Nel cast Brenda Lodigiani, Francesca Chillemi, Biagio Izzo e Peppe Lanzetta. Infine, esce con Lucky Red “Una notte a New York”, opera prima scritta e diretta da Christy Hall, un dialogo esistenziale tra due sconosciuti in un taxi. Protagonisti gli intensi Sean Penn e Dakota Johnson.
“Mufasa. Il re leone” (Cinema, 19.12)
Una storia che brilla da trent’anni, dal 1994. O forse da quattro secoli, dal testo di William Shakespeare “Amleto”, cui l’animazione Disney si ricollega.
“Il re leone” è un cartoon dei record, tra i primi dieci titoli ad aver incassato di più nella storia del cinema.
Da lì sono nati svariati sequel, l’adattamento in chiave musical a Broadway dal 1997 e poi una nuova versione live-action. Su tale scia poggia il nuovo titolo “Mufasa. Il re leone”, live-action che si focalizza su uno dei personaggi più amati della saga, il capostipite Mufasa, padre di Simba. A dirigere il film il Premio Oscar Barry Jenkins (suoi “Moonlight” del 2016 e “Se la strada potesse parlare” del 2018). Doppiatori Luca Marinelli, Elodie, Alberto Boubakar Malanchino, Elisa, Marco Mengoni, Stefano Fresi ed Edoardo Leo.
La storia. Africa, il leone Simba e la sua compagna Nala lasciano momentaneamente la loro cucciola Kiara in custodia dei fidati amici Timon, Pumbaa e Rafiki. La piccola scopre così le gesta di suo nonno Mufasa, fondatore della comunità di animali dove vivono. È Rafiki a raccontarle di come il piccolo Mufasa si ritrovò separato dal suo branco e finì per crescere come un orfano in una nuova famiglia di leoni insieme a Taka. Tra i due si stabilì un legame di amicizia fraterna…
Due i perni del racconto. Anzitutto la dimensione estetico-visiva, così accurata, realistica e immersiva. Si fa esperienza della vita nei magici luoghi dell’Africa, dalle terre desertiche a quelle segnate da clima rigido, fino alle aree verdeggianti tra Kenya e Tanzania, seguendo il percorso formativo dei leoni Mufasa e Taka. L’aspetto grafico-tecnologico è, pertanto, un potente elemento di attrazione a livello spettatoriale, ma a funzionare è anche l’impianto narrativo, il copione. La storia, infatti, oscilla tra presente e passato, con giochi di flashback.
Viene raccontata la vicenda del giovane Mufasa che perde genitori e certezze in tenera età, imparando a emergere nella vita della savana solo con le proprie forze e con l’amico fraterno Taka.
Un legame tra i due profondo, ma non privo di fratture o fragilità, dovute a incertezze caratteriali e gelosie sottaciute. Con “Mufasa. Il re leone” la Disney mette in campo un racconto denso e stratificato, destinato a un pubblico vario e differenziato. Non adatto ai piccolissimi, perché la storia è segnata anche da perdite o momenti di lotta tra animali legati all’affermazione del più forte, ma nel complesso è un’opera ariosa e formativa direzionato a tutta la famiglia. Consigliabile, poetico, per dibattiti.
“Io e te dobbiamo parlare” (Cinema, 19.12)
Alessandro Siani ha esordito alla regia nel 2013 con “Il principe abusivo” e nel corso di oltre un decennio ha confezionato commedie di respiro familiare appositamente per il periodo natalizio. Tra i suoi titoli più noti “Si accettano miracoli” (2015) e “Mister Felicità” (2017). Dal 19 dicembre è in sala con un nuovo progetto, “Io e te dobbiamo parlare”, condiviso con a un altro nome forte della commedia italiana: Leonardo Pieraccioni. Targato Italian International Film – Gruppo Lucisano e Rai Cinema, il film conta anche sulla partecipazione di Brenda Lodigiani, Francesca Chillemi, Giovanni Esposito, Sergio Friscia, Biagio Izzo e Peppe Lanzetta. A firmare il copione sono Siani e Gianluca Bernardini, con la collaborazione dello stesso Pieraccioni.
La storia. Antonio e Pieraldo sono due poliziotti che fanno squadra sul lavoro, un tempo legati da una solida amicizia, sconquassata però da quando Pieraldo si è innamorato (ricambiato) della moglie di Antonio. A mantenere l’equilibrio in casa, nella formula della famiglia allargata, è l’affetto di tutti per la figlia Maria. Sul lavoro la loro intesa produce più disastri che successi, ma i due non si arrendono davanti a niente…
“Nei miei primi 5 film – ha sottolineato Siani – il linguaggio della favola era il minimo comune denominatore. Dal film ‘Tramite amicizia’ in poi, invece, ho cercato di raccontare ironicamente i rapporti umani, che attraversano il mondo complesso dell’amicizia e della famiglia. Ed ecco che è arrivato il nuovo film in cui famiglia, valori e sentimenti si intrecciano attraverso il divertimento”.
“Io e te dobbiamo parlare” punta tutto sul doppio registro della commedia, napoletana e fiorentina, tesa a omaggiare quella linea di “film in divisa” anni ’80-’90 come “I due carabinieri” (1984) di Carlo Verdone e “Piedipiatti” (1991) di Carlo Vanzina.
Il racconto trova brio grazie alla intesa, verve e alchimia dei due capocomici. L’impianto narrativo è semplice e prevedibile, funzionale soprattutto ai momenti comici più che a mantenere un ancoraggio realistico. È cinema d’evasione, pensato per un pubblico ampio desideroso più di risate che di una storia dalla struttura articolata o approfondita. Consigliabile, brillante-superficiale.
“Una notte a New York” (Cinema, 19.12)
“È una piccola storia con implicazioni globali”. Così la regista-sceneggiatrice Christy Hall (suo è il copione di “It Ends With Us. Siamo noi a dire basta”), raccontando la sua opera prima “Una notte a New York”: “Parla dell’estinzione del contatto umano, in particolare per quanto riguarda persone che non pensano, parlano o agiscono esattamente come noi. Ma sarebbe un peccato, perché invece un estraneo imperfetto può cambiarci la vita, se siamo disposti a essere abbastanza presenti da fermarci ad ascoltare”. Presentato al Toronto Film Festival,“Una notte a New York” distribuito in Italia da Lucky Red e Leone Film Group, è un passo a due verbale, un dialogo intenso e profondo che sboccia in un taxi, tra un conducente e una passeggera,
chiamati a riflettere sulle relazioni, tra pagine di sentimento e legami di interesse, viziati da possesso o paura dell’abbandono. Protagonisti il Premio Oscar Sean Penn e Dakota Johnson, quest’ultima anche in veste di produttrice.
La storia. Aeroporto JFK di New York, una giovane donna sale sul taxi guidato da Clark. Il tragitto è lungo a causa del traffico, così i due iniziano a conversare partendo dalle considerazioni sulla città, sui rapporti interpersonali, esplorando poi la sfera dei sentimenti, comprese le zone d’ombra dell’animo, tra rimpianti e rimossi…
Inizialmente Christy Hall aveva pensato a una pièce teatrale, successivamente il progetto ha intrapreso la strada del cinema. L’opera si svolge quasi interamente in un unico ambiente, in tal caso l’interno del taxi, proprio come in alcuni titoli cari alla regista tra cui “La finestra sul cortile”, “Locke” o “The Whale”.
Il taxi diventa lo spazio di incontro tra due sconosciuti, che proprio per questa assenza di legami si permettono di parlare senza filtri, affrontando le varie questioni in profondità e autenticità.
Un viaggio che si rivela non solo fisico, tra le strade newyorkesi, ma anche nei territori interiori. Sarà proprio la giovane donna a schiudere all’uomo verità e avvenimenti sottaciuti, che non ha osato rivelare a nessuno; esperienze che hanno segnato il suo animo, appesantendolo di sensi di colpa e angosce. “Una notte a New York” è un’opera ricercata, centrata sulla parola, che i due interpreti riescono a reggere con grande capacità e mestiere. Bene anche la regia della Hall, che mantiene il controllo, proteggendosi (abbastanza) da ripetitività e lungaggini. Un film che si direziona per forma e contenuto per un pubblico adulto. Consigliabile-complesso, problematico, per dibattiti.