Una chiesa da ripensare. Insieme
Un anno fa, di questi tempi, la nostra chiesa viveva con curiosità già intrisa di affetto l’attesa del suo nuovo vescovo. Siamo stati con lui a Mantova – tanti di persona, tutti col cuore – il giorno dell’ordinazione e a Padova il giorno del suo ingresso in diocesi. Abbiamo vissuto insieme a lui l’intenso cammino di questo anno santo della misericordia. Gli abbiamo presentato in tante occasioni il volto di una chiesa magari qua e là “incidentata” ma non meno ricca di partecipazione, impegno, fede. E abbiamo poco alla volta iniziato a comprendere per quali strade il Signore, attraverso il vescovo Claudio, ci chiede oggi di camminare.
Sono stati mesi intensi. Ora, da settembre, ad attendere la nostra chiesa diocesana ci sarà una “sosta” lunga addirittura un anno.
Scelta migliore non si poteva fare – verrebbe da dire – se solo pensiamo all’affannoso arrancare dell’intera nostra società: stretta tra la paura del terrorismo, l’angoscia per un’economia ben lontana dall’agognata “ripresa”, gli interrogativi che lambiscono le fondamenta stesse del vivere insieme.
Ma, soprattutto, quello che sperimentiamo è l’arrancare di un mondo che pare aver perso la bussola. E che per ripartire ha bisogno di fermarsi. Per pensare il futuro. Per ripensare al passato.
Così sarà anche la sosta descritta dagli orientamenti pastorali.
Sarà un “fermarsi rigenerante”, dopo anni di novità pastorali e dopo un anno, l’ultimo, di vero cambiamento. Sarà però prima di tutto una “sosta operosa”, e il segnale lo abbiamo già avuto con i due progetti che il vescovo Claudio ha lanciato all’intera diocesi: prima i “Cantieri di carità e giustizia”, poi il sinodo dei giovani.
Due sfide cruciali, se è vero che sulla fedeltà ai poveri e sul coinvolgimento delle giovani generazioni ci giochiamo il futuro e il senso stesso dell’essere comunità cristiana. E proprio per questo sono sfide da preparare con attenzione, individuando bene gli obiettivi, allargando l’impegno a tutti coloro che saranno disponibili a camminare insieme a noi, senza la frenesia del “tutto e subito”.
All’orizzonte ne intravvediamo poi già un’altra, come se queste due non bastassero: è la sfida di ripensare il nostro “essere chiesa”, prendendo atto di quella che ormai è una realtà e non più una prospettiva: sempre meno preti, sempre meno cristiani praticanti e anche – ma non è il primo problema – sempre meno risorse. Anche su questo, il vescovo Claudio ci ha offerto parole chiare: la povertà, o se preferite la sobrietà, come scelta e non come imposizione subita; la comunità, e non il prete, come “centro” dell’esperienza cristiana; il territorio, la vita concreta delle persone, e non le strutture, come “luoghi” da abitare.
Una chiesa di minoranza, quasi sicuramente.
Ma forse proprio per questo una chiesa libera, che trova nel vangelo la sua forza e nella fraternità – in quell’essere e essere percepiti come “comunità” che il vescovo evoca sempre – il suo segno distintivo.
Non servono troppe parole per capirlo. Ci attende sì una sosta, ma non avremo tempo per annoiarci...
Meglio, piuttosto, sentire come pronunciate anche a noi le parole con cui papa Francesco ha acceso il cuore di un milione e mezzo di giovani a Cracovia: «Non siamo venuti al mondo per vegetare, per passarcela comodamente, per fare della vita un divano che ci addormenti. Per seguire Gesù, bisogna avere una dose di coraggio, bisogna decidersi a cambiare il divano con un paio di scarpe che ti aiutino a camminare su strade mai sognate e nemmeno pensate».
La sfida, va da sé, è grande. Per tentare di esserne all’altezza, meglio allora approfittare di una “vera” sosta in queste settimane di agosto.
Nelle pagine del numero speciale della Difesa dedicato all'Assunta, vi proponiamo di viverla con quello spirito giubilare che ha visto migliaia di persone varcare la Porta santa della Cattedrale nei mesi scorsi, o andare pellegrine alla basilica del Santo, da san Leopoldo, a Terrassa Padovana.
Sono i luoghi in cui vi invitiamo a tornare, in questi giorni dell’Assunta, per cercarvi i segni della spiritualità mariana. Per riscoprire come Maria, nei secoli, sia stata “porta” e artefice di misericordia per la nostra gente. E anche, se credete, per soffermarvi in preghiera.
La preghiera a cui, lo raccontavamo domenica scorsa, cristiani e musulmani insieme hanno affidato la loro speranza di un mondo libero dall’orrore e dalla follia terrorista. La preghiera a cui, oggi forse più che mai, possiamo affidare il cammino della nostra chiesa.
Certo, abbiamo di fronte sfide enormi, ma possiamo e dobbiamo affrontarle.
Sapendo che aprire processi è più importante che vederne i risultati compiuti; e che il nostro contributo è prezioso, ma è solo un tassello di un mosaico infinitamente più grande che trae la sua forza non dall’uomo ma da Dio.
Come ha ricordato Francesco ai “suoi” giovani, «non so se ci sarò a Panama. Ma so che ci sarà Pietro». È questa la nostra certezza: nella sosta, nella riflessione, nel disegnare le comunità cristiane di domani.