La Chiesa è Sinodo

Fin dall’inizio, Papa Francesco ha definito il suo pontificato come un “cammino-vescovo popolo”. E i quattro sinodi da lui convocati sono la dimostrazione di questo stile ecclesiale, incarnato in una Chiesa “dalle porte aperte a tutti”

La Chiesa è Sinodo

Quatto Sinodi, di cui il primo, quello sulla famiglia, in due fasi e l’ultimo – quello sulla sinodalità – convocato per la prima volta “dal basso”, coinvolgendo anche i laici e le donne. Sono i Sinodi di Papa Francesco, che fin dall’inizio, affacciandosi dalla Loggia delle Benedizioni subito dopo l’elezione, ha definito il suo pontificato un “cammino vescovo-popolo”.

“La Chiesa è Sinodo”,

l’affermazione programmatica durante il discorso per il 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi. E la sinodalità è stato il tema dell’ultima assise sinodale, la cui prima sessione si è svolta nell’ottobre nell’ottobre 2023: “Il protagonista del Sinodo è lo Spirito Santo”, ha ricordato Papa Francesco nel suo breve intervento a braccio a conclusione della ventesima Congregazione generale. “Questa è la Chiesa che siamo chiamati a sognare”, l’idea di Chiesa consegnata alle madri e ai padri sinodali nell’omelia della Messa nella basilica di San Pietro a conclusione della prima tappa dell’assemblea: “Una Chiesa serva di tutti, serva degli ultimi. Una Chiesa che non esige mai una pagella di buona condotta, ma accoglie, serve, ama. Una Chiesa dalle porte aperte che sia porto di misericordia”.

Per Bergoglio, la Chiesa non mette al centro “strategie, calcoli umani, mode del mondo, idolatrie moderne” come l’avidità del denaro, il fascino del carrierismo o le “idolatrie camuffate di spiritualità”.

Al centro dell’agire ecclesiale, insomma, non ci sono “tante belle idee”, ma due verbi: adorare e servire: “Adorare Dio e amare i fratelli col suo amore, questa è la grande e perenne riforma. Essere Chiesa adoratrice e Chiesa del servizio, che lava i piedi all’umanità ferita, accompagna il cammino dei fragili, dei deboli, degli scartati, va con tenerezza incontro ai più poveri”. “Amare Dio con tutta la vita e amare il prossimo come sé stessi. Non le nostre strategie, non i calcoli umani, non le mode del mondo, ma amare Dio e il prossimo: ecco il cuore di tutto”, l’esordio dell’omelia: “Adorare significa riconoscere nella fede che solo Dio è il Signore e che dalla tenerezza del suo amore dipendono le nostre vite, il cammino della Chiesa, le sorti della storia”. “Chi adora Dio rifiuta gli idoli perché, mentre Dio libera, gli idoli rendono schiavi”, il monito del Papa, che ha messo in guardia dal “pensare di controllare Dio, di rinchiudere il suo amore nei nostri schemi”.

“Sempre dobbiamo lottare contro le idolatrie”,

l’esortazione di Francesco: “Quelle moderne, che spesso derivano dalla vanagloria personale, come la brama del successo, l’affermazione di sé ad ogni costo, l’avidità di denaro – il diavolo entra nelle tasche, non dimentichiamolo – il fascino del carrierismo; ma anche quelle idolatrie camuffate di spiritualità: la mia spiritualità, le mie idee religiose, la mia bravura pastorale”. “Vigiliamo, perché non ci succeda di mettere al centro noi invece che lui”, il monito. “Non esiste una vera esperienza religiosa autentica che sia sorda al grido del mondo”, il grido d’allarme del Papa a proposito del secondo verbo al centro dell’omelia: “Non c’è amore di Dio senza coinvolgimento nella cura del prossimo, altrimenti si rischia il fariseismo. “È un peccato grave sfruttare i più deboli, un peccato grave che corrode la fraternità e devasta la società”, tuona Francesco:

“Penso a quanti sono vittime delle atrocità della guerra; alle sofferenze dei migranti, al dolore nascosto di chi si trova da solo e in condizioni di povertà; a chi è schiacciato dai pesi della vita; a chi non ha più lacrime, a chi non ha voce. E penso a quante volte, dietro belle parole e suadenti promesse, vengono favorite forme di sfruttamento o non si fa nulla per impedirle”.

“Noi, discepoli di Gesù, vogliamo portare nel mondo un altro lievito, quello del Vangelo”, l’invito del Papa, che nella Messa di apertura del Sinodo aveva auspicato “una Chiesa che guardia con misericordia l’umanità”, una Chiesa ospitale, “dalle porte aperte a tutti”, e non rigida, tiepida, stanca, perché “siamo un popolo di peccatori perdonati”. “Una Chiesa unita e fraterna, o almeno che cerca di essere unita e fraterna, che ascolta e dialoga” il sogno di Bergoglio: “una Chiesa che benedice e incoraggia, che aiuta chi cerca il Signore, che scuote beneficamente gli indifferenti, che avvia percorsi per iniziare le persone alla bellezza della fede. Una Chiesa che ha Dio al centro e che, perciò, non si divide all’interno e non è mai aspra all’esterno. Una Chiesa che rischia con Gesù”.

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Fonte: Sir