Papa Francesco e la natalità. De Palo: “Per lui i figli erano la cartina di tornasole della speranza di un popolo”
Il presidente della Fondazione per la natalità racconta al Sir un aneddoto: “Dopo aver invitato il Pontefice alla prima edizione degli Stati generali della natalità, lo informammo della nuova edizione, senza avere il coraggio di invitarlo di nuovo, ma lui ci rispose chiedendo se poteva partecipare”

“Promuovere la natalità con realismo, lungimiranza e coraggio”. Sono parole di Papa Francesco agli Stati generali della natalità, quasi un anno fa, il 10 maggio 2024. Era la terza volta che il Pontefice partecipava all’evento ideato da Gigi De Palo, presidente della Fondazione per la natalità. Solo una volta ha mancato all’appuntamento, per i forti dolori al ginocchio, ma in quel caso mandò comunque un messaggio. Al Santo Padre stava molto a cuore il tema della natalità e tante volte è tornato sull’argomento. Sempre alla quarta edizione degli Stati generali della natalità, l’anno scorso a Roma, Francesco ha detto: “Il numero delle nascite è il primo indicatore della speranza di un popolo. Senza bambini e giovani, un Paese perde il suo desiderio di futuro”. Abbiamo raccolto il ricordo del Papa da parte di Gigi De Palo.
Il Papa più volte ha partecipato agli Stati generali della natalità…
Ha partecipato tre volte. Quest’anno ero stato da lui il 10 gennaio e Papa Francesco mi aveva confermato che anche quest’anno avrebbe partecipato, sarebbe stata la quarta volta poi tutto è cambiato quando si è ammalato.
Papa si è speso tantissimo sull’importanza di avere figli: che cosa ci lascia di questo suo mandato?
Francesco aveva proprio molto chiara l’importanza dei figli per la società. Quando io andai per la prima volta a dirgli dell’intenzione di promuovere un evento sulla natalità, la sua prima risposta fu: “Fatelo qua da me, vi do a disposizione tutto quello di cui avete bisogno. Venite qua, lo fate gratuitamente”. Questa sua risposta ci fa capire che gli piaceva molto il tema e sapeva che era una delle priorità assolute del Paese. Noi, però, volevamo organizzare un evento “laico”, nel senso che il nostro obiettivo era quello di parlare a tutti, non dando una connotazione solo cattolica all’appuntamento. Papa Francesco capì e disse: “Avete ragione”. Ogni anno organizziamo gli Stati generali della natalità all’Auditorium della Conciliazione, ma non dimentico la disponibilità totale di Papa Francesco, al quale se piaceva un’idea la sposava pienamente. E, nel nostro caso, l’ha sposata di fatto, anche se non l’abbiamo realizzata in Vaticano, è venuto sempre, tranne che nel 2022 quando ebbe un problema al ginocchio e ci ha mandato un messaggio. Anzi,
racconto un aneddoto che ci dice molto di Papa Francesco: l’abbiamo invitato il primo anno, nel 2021, ed entusiasticamente partecipò, poi non avevamo il coraggio di invitarlo di nuovo. Quindi gli ho mandato una lettera dicendo: “Santità, volevo dire che noi organizziamo questo evento, come lei sa, noi continuiamo su questa tematica”. Il Papa mi scrisse una lettera, che conservo, nella quale mi disse: “Mi farebbe piacere partecipare, posso?”. Questo era Francesco: era lui che “si autoinvitava” a un evento che gli era piaciuto e al quale credeva perché sapeva che il tema della natalità era una priorità assoluta.
Questo ci dice tanto di Francesco…
Sì, questa sua richiesta di partecipare dà la cifra del Papa, la cifra di un uomo che è entusiasta.
La bellezza e la grandezza di Francesco è che veramente aveva un’attenzione per tutti e per ciascuno mirata, totale.
Si ricordava tutto, si ricordava sempre: tutte le volte che mi vedeva, anche a distanza di tempo, mi chiedeva come stessero i miei figli. Papa Francesco aveva un debole per mio figlio Giorgio Maria, che ha la sindrome di Down. L’ultima volta che sono andato a trovare il Pontefice gli ho fatto vedere un video, nel quale Giorgio Maria, con la mia cravatta a mo’ di stola, “inizia a celebrare la messa e ci dà la comunione”. Nell’ultima lettera che Francesco mi ha scritto mi diceva: “Mi ha fatto ridere tuo figlio che faceva la comunione”. Il Papa era una persona incredibile. Era un “nonno”, se si sentiva a casa, era totalmente spontaneo.
Come nasce questo rapporto con il Santo Padre?
La nostra amicizia nasce perché quando andai per la prima volta in Vaticano il 16 giugno 2018, per un incontro con una delegazione del Forum delle associazioni familiari, nel suo trentennale, dopo il mio intervento, Papa Francesco disse queste testuali parole: “Io pensavo che sarebbe stato un discorso di benvenuto… Ma sentendo parlare Gianluigi ho visto che lì c’era fuoco, c’era mistica. È una cosa grande: da tempo non sentivo parlare della famiglia con tanta passione. E ci vuole coraggio per farlo oggi! Ci vuole coraggio. E per questo, grazie! Io ho preparato un discorso, ma dopo il calore con il quale ha parlato lui, questo lo trovo freddo. Lo consegno”. E così ci parlò a braccio. La cifra con cui giudicare il Papa è che a lui piacevano le persone vere, dirette. Diventammo amici, perché al Papa, abituato a tutti i discorsi “ovattati” e molto equilibrati, quando riceveva le delegazioni, piacque il “fuoco” che avevo messo nel discorso, che non avevo fatto per compiacere il Papa, ma per provare a dire qualcosa, per provare anche a chiedergli dei consigli, per sollecitarlo.
L’amicizia è nata in questo modo: gli era piaciuto il coraggio con cui avevo fatto il discorso.
Quale eredità ci lascia Francesco sul tema della natalità?
Il fatto che il Papa abbia messo insieme la dinamica culturale e la dinamica sociale.
Ha detto più volte che fino a quando un figlio sarà una delle prime cause di povertà, fino a quando la nascita di un figlio costringerà le donne a dover scegliere tra lavoro e famiglia, fino a quando la nascita di un figlio mette i giovani in difficoltà perché è difficile trovare una casa più grande a prezzi accessibili, sarà difficile cambiare la situazione. Prima dobbiamo togliere queste “strutture di peccato”, poi l’aspetto culturale verrà.
Cosa vi ha detto nei suoi tre interventi agli Stati generali della natalità?
Ci sono state tre tipologie di discorsi. Il primo anno il discorso era molto istituzionale. Il secondo è stato un discorso totalmente poetico: Francesco aveva capito che doveva toccare anche le corde della bellezza del fare famiglia, rivolgendosi proprio ai giovani. L’ultimo discorso, quello del 2024, forse è il più bello, nel senso che è un discorso dentro la storia, conoscendo anche la situazione italiana.
C’è un appello molto chiaro, anche ai governi, a non nascondersi dietro le questioni culturali, ma a fare tutto quello che possono fare.
Il Papa ha sottolineato che ci sono da fare delle cose anche concrete.
Il Papa ha anche detto chiaramente che senza figli non c’è speranza.
Ha detto che la cartina di tornasole della speranza di un popolo si vede nel numero dei figli che mette al mondo. Un’affermazione fortissima.
Come si calcola la speranza? Per Francesco, il coefficiente che ti fa dire se un Paese ha speranza è il numero dei figli che mette al mondo. Al Papa tutto questo era molto chiaro e questo discorso, partendo dall’Italia, l’allargava a tutto l’Occidente. Tante volte, non solo da noi, ha parlato della natalità, era un tema che gli stava molto a cuore.
Come ricorderete Papa Francesco?
Innanzitutto, lo ricorderemo nei prossimi Stati generali. Porremo all’attenzione anche del futuro Papa il tema della natalità, perché è un tema centrale per l’uomo. In Italia la nascita o meno di un figlio non è semplicemente una scelta. Non possiamo accettare che i nostri figli, che i giovani debbano scegliere tra lavoro e famiglia.
Non possiamo accettare che la nascita di un figlio sia la seconda causa di povertà. Il Papa su questo è stato chiaro, è uno scandalo.
Chiudiamo con un suo ricordo personale del Papa…
Un ricordo personale molto bello è legato alla Dottrina sociale della Chiesa. Quando andai a raccontare a Francesco il progetto “Immischiati” – che è un suo concetto, perché ci ha detto che il cristiano deve immischiarsi -, gli spiegai: “Vogliamo raccontare in maniera divertente la Dottrina sociale della Chiesa”. E lui mi rispose: “Ti prego, non chiamarla così. È noioso, trova un altro nome”. Mi ha fatto sorridere che abbia avuto il coraggio di dire una cosa che pensiamo tutti, ma soprattutto mi ha fatto capire che uomo libero era il Papa:
pur di avvicinare le persone alla bellezza della partecipazione cristiana, non aveva alcun problema a modificare il nome.