La scommessa del vescovo Claudio: «Il nostro posto è con i poveri»
Dietro il progetto dei "Cantieri di carità e giustizia", annunciato il giorno della festa di sant’Antonio e ora presentato ufficialmente, c’è un obiettivo chiaro: rimettere il servizio ai poveri al centro della vita delle comunità. Fuori da ogni tentazione “compassionevole”, in una logica di giustizia. «I poveri – sottolinea nell'intervista alla Difesa del popolo – devono sapere che la chiesa, ossia le comunità dei credenti nel vangelo, è per loro. Non butteremo via le risorse che ci sono state affidate, ma le useremo, anche rimettendoci, per i poveri».
“Cantieri di carità e giustizia” è il titolo del progetto che il vescovo di Padova, mons. Claudio Cipolla, ha voluto lanciare alla città in occasione della festa del patrono il 13 giugno.
Una coincidenza non casuale. Il progetto è rivolto alla città di Padova e recupera una storia e una tradizione che percorre i secoli e che vede in sant’Antonio un promotore di quell’intrinseco rapporto tra carità e giustizia che altri testimoni più vicini a noi – basti ricordare mons. Giovanni Nervo e mons. Giuseppe Benvegnù-Pasini – hanno portato avanti con tenacia e caparbietà evangelica.
Don Claudio, «per i poveri bisogna fare sempre di più e sempre meglio». Questa sua frase, quasi un programma, ritorna spesso quando ci parla di povertà e di carità. Il progetto “Cantieri di carità e giustizia” come si inserisce in questo impegno di miglioramento?
«Le varie forme di povertà, anche estrema, accompagnano sempre la vita di una città. Ma ogni città, e quindi anche Padova, manifesta il livello della sua civiltà e lo spessore umano della sua cultura proprio nella capacità di strutturare risposte adeguate a reintrodurre nella vita sociale gli emarginati e a rendere meno gravosa la situazione di quanti vivono nella sofferenza. L’immagine del cantiere suggerisce un lavoro che vede coinvolte varie forze, ognuna per la sua competenza. Insieme si può costruire e dare concretezza a un progetto. Sono convinto della necessità di avviare percorsi comuni di lotta alla povertà che recuperino una tradizione e, leggendo l’attualità, possano intravvedere le strade più adatte al contesto in cui si vive e ai bisogni che emergono o che si modificano. Abbiamo bisogno di ripensare, insieme a tutte le forze vive della città, la capacità di stare accanto ai poveri, tenendo lontano le polemiche e le strumentalizzazioni. Con questo progetto vogliamo offrire, come chiesa diocesana, un impegno visibile che è un invito a tutta Padova e ai padovani a mettere al centro del proprio interesse l’attenzione a chi è più debole».
Oggi più che mai la morsa della povertà chiede fantasia e lungimiranza…
«A Padova esiste un patrimonio di esperienze, di tradizioni di percorsi, di pensiero nel contrasto alla povertà. Tutto questo va assunto, osservato e ne va compresa la direzione. Diverse situazioni chiedono diversità di risposte, fantasia e umanità nell’approccio. Per aiutare i poveri è necessario l’apporto di tutti, delle istituzioni pubbliche, della società civile e religiosa, del volontariato, ma anche degli attori economici che possono creare valore sociale per il territorio in cui operano. È un impegno sociale da maturare nel confronto e nella fatica, soprattutto in momenti storici in cui le risorse sembrano mancare o diminuire. Una comunità attenta ai poveri sa vedere in essi non solo la loro povertà ma anche le risorse che essi hanno. Una comunità sapiente sa valorizzare le risorse di tutti e può dire a ogni povero: “anche tu, insieme con noi ce la puoi fare”».
È un appello che investe tutti, ma per le comunità cristiane, per il singolo che si riconosce nel vangelo di Gesù è una questione “di partenza”…
«I cristiani, le comunità cristiane, le organizzazioni ecclesiali non potranno mai separare l’espressione della loro fede dai poveri: “quello che avete fatto a uno dei miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me”, dice Gesù dopo aver parlato di compromissione con gli affamati e gli impoveriti, con gli assetati, con i nudi e senza tetto, con i forestieri, i profughi, i migranti per lavoro, per fame, per guerra; dopo aver parlato di vicinanza ai carcerati, ai malati… Oggi a questa lista potremmo aggiungere i giovani senza lavoro, gli anziani soli a volte impauriti, le vittime di culture disumanizzanti, gli impoveriti dalle banche locali e mondiali, gli umiliati dalla cattiva gestione politica ed economica. Come chiesa abbiamo dato, nei secoli, un contributo significativo nel disegnare percorsi di cittadinanza e di cultura, anche attraverso l’istituzione di scuole, case di riposo, ospedali, luoghi educativi e sportivi. Non avremmo potuto farne a meno proprio per lo stile di “incarnazione” che Gesù ci ha insegnato e che ci spinge a coniugare sempre carità e giustizia».
E oggi che ruolo ha la chiesa nell’edificazione di una città accogliente e “giusta”?
«Oggi siamo chiamati a una presenza diversa, più profetica e spirituale, perché la città ha assunto in sé nei suoi statuti e nella sua cultura molti degli spazi che prima erano lasciati alla spontanea e libera iniziativa».
«Oggi noi cristiani ritorniamo a stare con i poveri: loro sono la nostra famiglia, la nostra casa, i nostri amici. I poveri devono sapere che la chiesa, ossia le comunità dei credenti nel vangelo, è per loro. Non butteremo via le risorse che ci sono state affidate, ma le useremo, anche rimettendoci, per i poveri. È una conversione e non sappiamo dove ci porterà ma abbiamo la certezza che dobbiamo portare, nella pace, la vicinanza del Signore».
Invece, per la città, che rapporto ci dovrebbe essere tra carità e giustizia?
«Spetta alla città, alla sua politica, alle sue istituzioni stabilire – in un paese che si costruisce sul diritto e quindi sulla giustizia – che cosa è possibile, partendo da ciò che indica la Costituzione, “garantire” ai cittadini quando ci si ammala, si invecchia, si studia, si perde il lavoro… Dobbiamo proseguire il percorso che porta appunto la città a farsi carico dell’assistenza e della promozione delle persone in difficoltà. In tante occasioni il mondo del volontariato sociale e quello delle comunità cristiane hanno sostituito le istituzioni pubbliche o per lo meno offuscato la loro titolarità a intervenire e a garantire l’assistenza. Quasi che la dimensione della povertà debba essere di competenza della chiesa, del volontariato, della carità, della beneficenza, e non si tratti invece di crescere insieme nella giustizia, nel riconoscimento dei diritti dei cittadini. Come diceva Paolo VI, “non sia dato per carità ciò che è dovuto per giustizia”».