Ecco i "Cantieri di carità e giustizia" del vescovo Claudio
Presentato il progetto annunciato alla festa di sant'Antonio. Dalla rilettura della storia alla fotografia dell’oggi, fino alla proposta di un “patto” tra tutti i mondi della città per dare sostanza al sogno di una società capace di guardare ai poveri con occhi nuovi: non più semplici destinatari di aiuto ma persone chiamate a contribuire al pari di tutti gli altri soggetti. Perché nessuno è così povero da non avere nulla da offrire.
La povertà ha mille facce, e nessuna è uguale all’altra.
“Povertà plurali”, le chiama Caritas italiana nel suo Rapporto 2015, facendo sintesi delle storie che quotidianamente si presentano ai suoi centri d’ascolto.
Sono le facce di quei quattro milioni di persone che vivono in condizioni di indigenza assoluta, di quel 40 per cento di italiani che lo scorso anno non si sono curati perché anche la salute costa, di quei bambini (il 6 per cento dei nostri figli) a cui i genitori non riescono a mettere in tavola un pasto proteico almeno una volta al giorno, di quelle 22.300 persone che tra gennaio e marzo hanno chiesto asilo in Italia e di altre 60 mila che attendono da mesi di conoscere il loro destino, di quei 300 uomini e donne che nella città di Padova vivono in strada, estate e inverno, soli o con la famiglia al completo ridotta a dormire in automobile.
Ma sono anche i volti di un esercito di anziani soli, di adolescenti in crisi di senso, di bambini (quasi la metà, purtroppo, denuncia l’ultimo rapporto dell’associazione Save the children) che non hanno mai letto un libro fuori da scuola né fanno sport, di disabili e malati imprigionati dalla carenza di servizi e strutture.
La povertà ha mille facce, e forse non esiste nemmeno. Esistono i poveri, storie in carne e ossa, che vivono nel cuore delle città eppure rischiano di essere trasparenti, invisibili, o di essere rimossi per quieto vivere. Perché amare i poveri non è romantico e neppure comodo, come ricordava il vescovo Claudio il giorno della festa di sant’Antonio.
Anzi, più la crisi allarga e approfondisce il disagio, più sentiamo che “potrebbe toccare anche a noi” – basta perdere il lavoro, basta una malattia grave, basta uno sfratto... chi può dirsi davvero al sicuro? – e più, per un riflesso spontaneo, siamo tentati di allontanare lo sguardo dal problema, quasi bastasse a rimuoverlo.
Rimettere i poveri al centro, della vita ecclesiale e delle preoccupazioni di una intera città, significa allora innanzitutto cambiare lo sguardo.
E, di conseguenza, disegnare anche nuovi possibili percorsi concreti. Perché una cosa è certa: un vecchio modo di “fare assistenza”, imperniato sulla rete dei servizi pubblici e sui contributi economici non è più adeguato alla complessità dei problemi.
«Da troppi anni – sottolinea Tiziano Vecchiato, direttore della fondazione Zancan – le politiche pubbliche hanno trasformato la lotta alla povertà in pratiche assistenzialistiche fatte di sussidi e trasferimenti monetari, senza chiedersi se questo potesse bastare, se dopo l’aiuto (necessario nell’emergenza) non fosse ancora più necessario l’aiuto che valorizza le potenzialità di ogni persona. La città ha bisogno di ripensare le proprie forme di lotta alla povertà, senza limitarsi a “raccogliere e redistribuire”».
Il progetto dei “Cantieri di carità e giustizia” – che è stato promosso dal vescovo e che sarà realizzato con la fondazione Zancan – parte da qui, dalla consapevolezza che è necessario un cambio di passo.
Per sostanziarlo di contenuti, è stato studiato un percorso in tre tappe, analitico e meditato, con l’obiettivo comunque di arrivare entro l’autunno alla fase operativa.
La prima tappa guarda al passato cittadino, per fare memoria delle tante storie che – ciascuna a suo modo, secondo i bisogni e gli stili dell’epoca – hanno contribuito a plasmare il volto della Padova solidale. Istituti religiosi, realtà diocesane come le cucine popolari, fondazioni e istituzioni, l’associazionismo cittadino saranno chiamati a raccontare le loro storie di carità e di giustizia per poi comporle in un affresco che aiuti a comprendere le radici in cui affondano tante esperienze, tante storie di innovazione sociale che ancora oggi innervano la città.
Il secondo impegno sarà quello di confrontarsi col presente, fino a costruire una vera e propria “mappa delle opportunità e delle capacità” presenti a Padova – pubbliche e private, ecclesiali e civili – da cui emergano le diverse azioni di accoglienza e di aiuto che già sono in atto ma anche i vuoti da colmare e le sovrapposizioni che forse potrebbero essere evitate per un utilizzo più razionale delle risorse.
Il terzo passaggio sarà infine quello dei “cantieri” veri e propri, in cui coinvolgere tutti i soggetti che aderiranno con una modalità – e qui sta il vero salto di qualità che il progetto propone – che è tanto concreta quanto simbolica nella sua valenza.
«La grande sfida – spiega ancora Vecchiato – non è fare qualcosa “per” i poveri ma “con i poveri”. È chi li vive quotidianamente, senza rinunciare alla propria dignità, che può davvero indicarci come affrontare i problemi. Insieme, ciascuno con le sue competenze, ma sempre partendo dal presupposto che il povero non è un bisognoso da assistere ma una persona. Dico di più: se vogliamo uscire dall’equivoco degli aiuti che non aiutano, dobbiamo smetterla anche col materialismo del “dare senza chiedere”».
«A quanti incontreremo dobbiamo dire “io non posso aiutarti senza di te”, senza che ti rimetti in gioco e scommetti sulle tue capacità. È un’opzione etica, una scelta di fede, un modo per accompagnare ai diritti la riscoperta dei doveri e per questa via dare senso profondo all’incontro tra persone. A quel punto il “non posso aiutarti senza di te” potrà anche trasformarsi in proposta: “quello che ricevi non è soltanto per te, ma per aiutarti e per aiutare”, per facilitare soluzioni condivise a vantaggio dell’intera città, perché nessuno è così debole o così povero da non avere nulla da offrire».
«Nei cantieri dobbiamo costruire pratiche “a corrispettivo sociale”, cioè basate sull’aiuto che aiuta, sui beni da condividere, e anzi io sono convinto che l’apporto dei poveri moltiplicherà i talenti a disposizione. Anche perché, se lo fanno i poveri, tutti possono farlo. Padova può farlo».