Luigi Pasetti, dalla serie A ai Giovanissimi. «Il gusto di giocare. Ecco cosa conta»
Luigi Pasetti è stato capitano della nazionale Under 23, ha giocato con Riva e Anastasi. Oggi a 71 anni è ancora in campo ad allenare gli esordienti. Con una formula tanto semplice quanto efficace: alimentare la gioia di andare in campo, senza troppi schemi e complicazioni.
Luigi Pasetti, a suo tempo sette stagioni in serie A tra Spal, Juventus (un campionato) e Palermo.
Poi la B, infine un po’ di serie C, con l’ultimo anno da giocatore con l’Adriese.
Carriera da dirigente che dura poco, molto meglio star lì sul campo, ancor più avendo a che fare con i giovani.
E avanti per trent’anni e passa, una montagna di esperienze, l’ultima quest’anno al Bologna. Lui, classe 1945, che allena i 2004, esordienti. Sì, a 71 anni a star dietro a ragazzini di dodici/tredici anni. Eccolo.
«Mi chiamano Gigi, non sono “il mister”. Ora non gioco più, sino a tre quattro anni fa ogni tanto giocavo con loro, magari creando delle situazioni in cui erano costretti a trovare da loro le soluzioni, tipo io che porto palla e dai e dai vengono in due, uno a destra e l’altro a sinistra. Poi se vuoi lo si chiamerà raddoppio, ma intanto ci sono arrivati da soli, hanno capito da loro che così è più facile portarmi via la palla. Dubbi sulla mia età rispetto a loro ne ho, certo, penso però che anche le cose “di una volta” possano servire. Io non parlo mai di tattica, mai. Quel che mi preme è che giochino, che diano bene la palla, che sappiano perché è meglio fare così».
«I ragazzini? Quel che sono cambiati sono gli atteggiamenti, noi ce le dovevamo guadagnare le cose, ora loro se le trovano già a disposizione.
Loro mi danno comunque la gioia di andare in campo, mi sento trascinato dal loro entusiasmo. Vengono per giocare e penso a come eravamo noi un tempo, davvero quanto liberi di giocare. Ora no, è diverso, hanno più costrizioni, orari, con la presenza poi di figure – penso ai preparatori atletici per esempio – che mi vanno magari bene quando si occupano di coordinazione e schemi motori, ma lì si devono fermare.
Dai, non posso fare a meno di pensare che c’è già tutto nel gioco, insisto, nel gioco. Non parlo di copiare pari pari quel che si faceva un tempo, no, però mi piacerebbe e mi piace poter trasmettere un po’ di quella libertà che c’era un tempo, fare la porta con i sacchi o le giacche… i ragazzini migliori sono là dove ci sono delle difficoltà, su un campo sconnesso, allora ti alleni a trovare delle soluzioni».
«Mi fanno un po’ ridere tutte queste scuole-calcio: parlano della crescita del bambino, ma spesso quel che più preme è l’introito. Con poi tanti e tanti allenatori che gridano e vogliono che i ragazzini facciano questo e quello. Spesso mi metto nei panni del bambino, lui che riceve palla, che magari ha una sua idea e lì a dirgli quel che tu vedi da fuori, facile che vada in confusione, no?».
«È vero, spesso i genitori sono lì che urlano e dicono quel che devono fare e io dico sempre che c’è già un asino in panca che parla: basta e avanza, no? Ricordo un anno, ero con gli esordienti, lì una mamma che si lamentava perché avevo messo il figlio in un ruolo diverso, per provare o perché magari pensavo che fossero proprio quelle le sue caratteristiche (e poi così è andata). Alla mamma dunque questo non stava bene, che il figlio era fuori ruolo e io a chiederle dove l’aveva preso lei il patentino. Una frase che quella volta è servita, poi s’è sempre “fidata”. Mi rendo conto comunque che, a parte alcune eccezioni, non riescono proprio a vederle le carenze dei figli, poco da fare».
«Certo che mi sento un educatore, lo si deve essere. E senza essere per forza autoritario, ma ci sono alcune regole che bisogna seguire e quando non lo fanno, per me quel che si deve fare è giusto togliere un qualcosa di piacere. Una mia mania, tra le tante magari, è quella dell’orario: se si dice che si parte alle tre, si parte alle tre, non c’è verso. C’è chi arriva tardi, chi magari lo incroci per strada che sta arrivando, ma io dico di non fermarsi, no. L’esperienza m’insegna che da quel giorno, minimo arrivano un quarto d’ora prima».
«Se sanno che ho giocato? Certo che lo sanno, sanno tutto, sempre lì col computer loro. Glielo dico ogni tanto, così per scherzo ma un po’ no, che ho giocato a Wembley, che nelle nazionali giovanili ho fatto la juniores e con l’Under 23 ero il capitano. Giusto per dirti, lì davanti c’erano Merlo, Anastasi, Vieri e Riva. Sì, lui, e pensa che come riserve c’erano Chiarugi, Savoldi e Prati…».