Ultimi, retrocessi... e felici. L'anno straordinario del Real Padova
Trenta partite: una vittoria, due pareggi, ventisette sconfitte. Volendo, si può pure aggiungere che i gol fatti sono stati 20, quelli subiti 83. Cinque punti in classifica, ovvio ultimo posto e retrocessione. A vederla da fuori, una stagione fallimentare. Ma dopo aver verificato, ecco che le cose così non sono andate, c’è stato infatti tanto e tanto altro nella stagione del Real Padova, girone I di Seconda categoria.
Trenta partite: una vittoria, due pareggi, ventisette sconfitte.
Volendo, si può pure aggiungere che i gol fatti sono stati 20, quelli subiti 83. Cinque punti in classifica, ovvio ultimo posto e retrocessione. A vederla da fuori, una stagione fallimentare, chissà il gruppo che disastro, magari giusto sempre contati (o meno) agli allenamenti, forse pure le telefonate per essere almeno in undici le domeniche e avanti di questo passo. Ma dopo aver verificato, ecco che le cose così non sono andate, c’è stato infatti tanto e tanto altro nella stagione del Real Padova, girone I di Seconda categoria.
La società è nata nel 2002, quando si concretizza la possibilità di fondere più società sportive legate alle realtà parrocchiali della città. Dunque ecco il Real Padova che accomuna cinque “vecchie glorie” dello sport cittadino: Audax (Forcellini), Dinamo (San Gregorio Magno), Excelsior (Santa Giustina), Robur (Sant’Osvaldo) e Santa Rita. Parrocchie da cui – come viene sottolineato anche nel sito della società – storicamente provengono gli atleti e i dirigenti. Tra calcio e pallavolo, oggi sono circa 400 i tesserati.
Diego Duranti è il “mister” (nonché direttore tecnico)
Dopo le prime sette-otto sconfitte filate aveva fatto presente alla società che lui era a disposizione, che se volevano insomma cambiare e provare, proprio ci stava. No, problemi zero, questa la risposta del direttivo: ancora sconfitte e l’unica vittoria è arrivata ad aprile, poche partite alla fine, contro il Valsugana, pure fuoricasa.
«Ha fatto gol un ragazzo moldavo, anche lui veniva dagli juniores, come in pratica quasi tutta la rosa. Un gruppo con cui ho iniziato quando erano allievi, sono ormai sei-sette anni che andiamo avanti assieme. Mah, forse sono troppi, forse sì. Siamo stati ripescati la scorsa estate, tante squadre di Seconda non si erano iscritte: pensavamo di fare meglio, sì, mai passato un anno così. Tutti ragazzi della parrocchia, qui nessuno prende un euro che sia uno – sottoscritto compreso naturalmente – e sono gli stessi ragazzi ad aver pagato la quota per giocare, per fare il campionato».
«Abbiamo sempre e sempre cercato comunque di giocare, mai giusto buttando via la palla, partendo da dietro, allenandoci bene e con costanza. Le partite ce le siamo sempre giocate, sì perdendo ma quasi mai ci hanno proprio messo sotto. Però mi sono reso conto del discorso-qualità, affrontando squadre dove i ragazzi sono pur sempre selezionati, e poi cerchiamo sempre di non dimenticare per quanto possibile di far giocare tutti, o almeno di provarci. In rosa un ’91, quattro del ’94, dieci del ’95, quattro del ’96 e cinque del ’97. Tre allenamenti la settimana, otto e mezza pronti, contando infortuni e motivi di lavoro, non siamo mai stati meno di 17. No, niente serata dedicata alla pizza, ci hanno pensato i compleanni a far sì che si potesse star tutti assieme anche dopo il campo, facendo a gara per chi portava di più e di meglio, tutti compresi, non solo i calciatori».
«L’insegnamento di un anno così? Che se c’è affiatamento nel gruppo e volontà di stare assieme, nuovi stimoli li trovi sempre: dai, i ragazzi hanno pagato per… arrivare ultimi, continuando a perdere e perdere, devi per forza voler bene al gruppo per continuare. Pure io non ho mollato, io che ho fatto i miei corsi, anche l’Uefa B; che cerco sempre di aggiornarmi anche perché con questi ragazzi di adesso preparato lo devi essere. Al solito in un attimo ti valutano, vogliono sapere, chiedono e tu devi essere in grado di rispondere. Devono capire e devi far capire loro che non sono né il loro papà, né un professore, senza però essere un sergente di ferro. Devi semplicemente essere a disposizione, sempre insistendo sul rispetto dei ruoli. Prima comunque sei tu che devi dare, altrimenti si chiudono, fanno gruppetti, così non funziona. Prima devi dare, poi loro restituiscono».
«Fare un anno come questo ti aiuta anche a livello di carattere, ce ne vuole tanto per continuare a stare tutti assieme quando non fai altro che perdere. Anche adesso, che sono qui che racconto, mi vengono le lacrime agli occhi a ripensare a quando abbiamo vinto quell’unica partita, la baldoria che hanno fatto, le battute e la soddisfazione. Giusto alla fine, l’arbitro aveva già stabilito il recupero e ha fatto gol sto ragazzo moldavo, lui che prima non riusciva a finire una partita, un’espulsione dopo l’altra, c’è voluto del bastone e della carota con lui… sì, continuo a emozionarmi ripensando a quel momento».