Insegnanti che vanno nella scuola statale? Anche questa è "chiesa in uscita"
Gli insegnanti che lasciano la scuola cattolica per la statale rappresentano un problema per gli istituti, ma possono essere “chiesa in uscita”: come non aspettarsi una testimonianza limpida, di cristiani bene impegnati, professionisti competenti e generosi, attenti alle mille povertà e richieste che ragazzi e famiglie manifestano?
Francesca, Silvia, Lucia, Marco, Claudia l’estate scorsa… e, prima, Rachele, Rita, Elisa, Dino, Catia, Martino… e negli anni precedenti a decine.
Il passaggio di docenti dalla scuola paritaria a quella statale (o comunale per l’infanzia, che è sì paritaria, ma “sicura”) c’è da sempre e sempre continuerà, almeno finché la parità resterà… impari.
Impari, cioè con stipendi diversi, carichi di lavoro spesso differenti e, fattore più destabilizzante, incertezza sul futuro (cioè la sopravvivenza) degli istituti paritari privati.
Di fronte a questo dato di realtà – e alle singole “partenze” che più o meno si verificano ogni anno, ma più massivamente con le grandi chiamate dei concorsi del Miur – cosa fare?
Prenderne atto e affrontare la situazione in tutti i suoi aspetti e sfaccettature. Per esempio:
➼Le relazioni in corso di rapporto di lavoro: se il dipendente della scuola cattolica si percepisce “sfruttato” o comunque non si sente “di casa”, è evidente che cercherà di andarsene prima possibile; e se ne andrà con un senso di liberazione ineffabile…
Se, come capita di solito, saluta con gli occhi inumiditi, facilita l’inserimento dei nuovi professori, torna a trovare le persone e sente ancora gli ex colleghi (e magari i ragazzi), vuol dire che la scuola cattolica riesce davvero a porre al centro le persone, inclusi i docenti. Gli incarichi cambiano, gli amici restano.
➼Se si chiede agli insegnanti “in transizione possibile” di non creare agitazioni nelle classi dando annunci anticipati ad alunni e genitori – e questo avviene – significa che si sta creando una comunità che propone un progetto condiviso e non si basa su leader solitari e autoreferenziali. Docenti (e dirigenti) vanno, la scuola rimane.
➼ In ogni caso, pur con tutto il rammarico e il dispiacere per ogni partenza, non ha senso parlare di tradimento, abbandono e… lessico simile.
Ogni persona ha il diritto di progettare il proprio percorso di vita, cercare nuovi stimoli e ambienti, immaginarsi diversa da com’è (stata): nella libertà più autentica e profonda, che un’istituzione cattolica ha il dovere di rispettare e anzi promuovere.
Aggiungo anche un’altra prospettiva, più ecclesiale.
Gli insegnanti che lasciano la scuola cattolica per la statale possono essere “chiesa in uscita”: sono stati scelti con precisi criteri, hanno fatto esperienza in ambienti ben connotati, hanno acquisito stili educativi e competenze professionali con un certo imprinting…
Come non aspettarsi una testimonianza limpida, accanto ad altri che già operano nelle scuole statali, di cristiani bene impegnati, professionisti competenti e generosi, attenti alle mille povertà e richieste che ragazzi e famiglie manifestano?
Certo, a seconda della personalità di ciascuno, delle capacità e dei talenti, della vicinanza ad ambiti ecclesiali, dell’ambiente scolastico in cui arrivano…
Ma davvero la scuola cattolica può (e deve) formare docenti anche per la scuola statale, che portino in sé e magari possano estrinsecare il “di più” che proviene dalla formazione cristiana, dalla motivazione vocazionale e missionaria che ogni laico adulto può (e deve) maturare ed esprimere: con i fatti prima che con le dichiarazioni.