Gli insegnanti delle paritarie "migrano" alla scuola statale. Un problema o un'opportunità?
Oltre duecento insegnanti quest'anno sono passati alla scuola statale. Un grosso problema per i dirigenti delle nostre scuole paritarie, ma forse anche un fenomeno da leggere evangelicamente con speranza.
Il passaggio dalla scuola paritaria alla scuola statale solo nel territorio della diocesi di Padova, quest’anno è stato di oltre un centinaio di insegnanti della primaria e della secondaria di primo e secondo grado e di un numero ancor maggiore delle scuole dell’infanzia, soprattutto con l’ultima immissione in ruolo che ancora non sembra finita.
Il trasferimento ha messo in seria difficoltà i dirigenti delle scuole cattoliche costretti, alla vigilia dell’apertura del nuovo anno scolastico, ad affannarsi nella ricerca di nuovi docenti, attenti a non cedere alla logica emergenziale e a curare, con l’attenzione di sempre, la scelta delle persone.
Incontrando più di qualcuno dei docenti che hanno compiuto la scelta del passaggio, ho potuto riscontrare sempre la gratitudine per quanto la scuola cattolica ha loro trasmesso, sia in termini di valori, sia in abilità pedagogica, confermata spesso poi dai dirigenti scolastici che apprezzano le competenze oltre che le doti di umanità di chi si è formato in tale ambiente educativo.
Alla domanda sul perché di tale passaggio, seguono le risposte più varie: la più ricorrente è quella della sicurezza del posto di lavoro nello stato a fronte di un futuro incerto della scuola paritaria, a causa della parità disattesa sul piano economico.
La seconda: l’ammontare dello stipendio.
La terza: il desiderio di sperimentarsi in altro ambiente, anche con colleghi con posizioni intellettuali e pedagogiche differenti.
La quarta, minoritaria ma presente e sicuramente non condivisibile: il minor impegno che la scuola statale richiederebbe rispetto a quella paritaria.
Motivazioni che fanno riflettere e spesso lasciano l’amaro in bocca a chi crede e si prodiga per garantire la presenza e la qualità educativa della scuola paritaria, ma è costretto a fare i conti con un contesto che parla di libertà della scelta educativa delle famiglie e di formale uguaglianza fra la scuola statale e la scuola paritaria in una logica di sistema pubblico integrato di istruzione, da cui conseguono pari doveri ma, purtroppo, non certamente pari diritti, ma poi nega l’uguaglianza nella sostanza.
Eppure anche in questo fenomeno di “trasmigrazione” è possibile trovare un tratto evangelico che, se da un lato non lenisce la fatica e il rammarico, tuttavia apre alla speranza perché - come sottolinea un dirigente scolastico - «davvero la scuola cattolica può (e deve) formare docenti anche per la scuola statale, che portino in sé e magari possano estrinsecare il “di più” che proviene dalla formazione cristiana, dalla motivazione vocazionale e missionaria che ogni laico adulto può (e deve) maturare ed esprimere: con i fatti prima che con le dichiarazioni».
Don Lorenzo Celi