Papa Francesco e Assisi. Mons. Sorrentino: “Qui era a casa. Nelle sue visite compiuti tanti gesti profetici”

“Assisi ha sentito Papa Francesco come uno di famiglia e il Papa gesuita ha sentito questa attrazione per Francesco di Assisi”, evidenzia al Sir il vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino e di Foligno

Papa Francesco e Assisi. Mons. Sorrentino: “Qui era a casa. Nelle sue visite compiuti tanti gesti profetici”

“Papa Francesco aveva davvero il volto e il cuore di un papà. Così lo sentivano soprattutto i più semplici, i poveri, ai quali egli dedicava tante premure. Anche guardando ad essi aveva preso il nome del nostro Francesco d’Assisi, il ‘Poverello’, ed è rimasto coerente con questa scelta programmatica”. Lo ricorda così l’arcivescovo Domenico Sorrentino, vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino e di Foligno. Il legame tra il Papa gesuita e Assisi è stato forte, come dimostrano le tante visite compiute nella città serafica.

Eccellenza, quanto è stato speciale il legame di Papa Francesco con Assisi e viceversa?

Assisi ha sentito Papa Francesco come uno di famiglia.

Quando si sottolineava che il Pontefice visitava Assisi troppe volte rispetto ad altre diocesi anche dell’Umbria che non riuscivano ad avere lo stesso privilegio, più volte mi è capitato di dire, con un po’ di humor: “Ha preso il nome di Francesco e dunque questa è casa sua, venire qui è come tornare a casa”. Credo che davvero il Papa lo sentisse un po’ così. Ricordo quando è venuto la prima volta e nella Sala della Spogliazione disse: “Qui c’è qualche cosa che mi tocca profondamente”. Francesco in quel luogo si era spogliato e il Papa venne a parlare di come la Chiesa si deve spogliare.

La scelta del nome come Papa, quindi, già ha voluto essere un segnale forte?

Non è stato certamente un caso, è stata un’ispirazione provvidenziale che abbia preso il nome di Francesco in questo tempo che è indubbiamente un tempo di crisi per l’umanità e, per tanti versi, anche per la Chiesa. E Francesco, non lo dimentichiamo, è il Santo al quale fu dato un preciso mandato da Gesù: “Francesco, va’, ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina”.

Credo che il Papa abbia sentito tutto questo e la scelta del nome di Francesco non è stata ispirata da un’intenzione politica ecclesiale, ha voluto sceglierlo, lo disse il Pontefice stesso, in nome della povertà e dei poveri, perché Francesco di Assisi continua ad avere una grande missione nella Chiesa.

Papa Francesco dal primo momento ha detto di volere una Chiesa povera per i poveri…

Il card. Cláudio Hummes, francescano, disse a Papa Bergoglio appena eletto: “Non ti dimenticare dei poveri”. Credo che tutto si tiene nella storia di questo Pontificato:

il Papa gesuita ha sentito questa attrazione per Francesco di Assisi.

È anche un bel segno per la Chiesa che in Papa Bergoglio, gesuita, ci siano tanti richiami al carisma francescano…

I carismi alla sequela di Gesù si armonizzano e il baricentro di tutto è sempre Gesù con il Suo Vangelo e il Suo Spirito, come il Papa spesso ci ha ricordato, è lo Spirito dell’armonia. Tutto quello che il Papa ha inteso fare anche con la strategia pastorale della sinodalità va in questa direzione: Papa Francesco ha voluto dire alla Chiesa che in questo momento difficile, in cui un’epoca sta cambiando, noi dobbiamo metterci in sintonia con Gesù. Ed è quello che ci ha detto con la sua prima grande esortazione apostolica “Evangelii gaudium”:

la Chiesa tutta deve essere missionaria e deve ascoltare lo Spirito di Dio per una sinodalità autentica e anche per camminare in termini rapidi verso una nuova evangelizzazione del nostro mondo.

Di tutte le visite che Papa Francesco ha compiuto ad Assisi qualcuna le è restata particolarmente a cuore? Ci sono stati dei gesti forti e profetici?

Nella prima visita il Papa pose dei gesti molto forti, che addirittura ci misero anche un po’ in imbarazzo. Voglio ricordare i tre punti della prima visita che la caratterizzarono e ci sono restati nel cuore. Il Pontefice arrivò ad Assisi e non visitò per primo un centro francescano o un centro diocesano, come ci saremmo aspettati. Volle visitare l’Istituto Serafico per gravi disabili, che è all’ingresso di Assisi e lo fece con grande ampiezza di tempo, di gesti e di parole, addirittura fermandosi a salutare tutti i nostri ragazzi con disabilità singolarmente.

Questa fu la prima grande impressione che ci diede: una Chiesa che riparte dagli ultimi, si mette accanto agli ultimi.

La seconda tappa fu al santuario della Spogliazione e lì ancora una volta ebbe davanti i poveri della Caritas e con loro e con noi, ovviamente, parlò di come la Chiesa si deve spogliare. L’ultimo fu il gesto più imbarazzante: normalmente in queste circostanze ci si ferma al Sacro Convento nella grande sala da pranzo dove in genere le autorità vengono invitate. Quel giorno proprio per stare in sintonia con l’intonazione che il Papa aveva dato alla visita avevamo volentieri portato un gruppo di poveri al pranzo mettendoli al centro della sala. Invece Francesco volle fare un gesto che fece scalpore: lasciò i cardinali che lo accompagnavano al pranzo al Sacro Convento e volle scendere con me per mangiare con i poveri nella nostra casa di accoglienza, che proprio da quel momento cominciò a chiamarsi Casa Papa Francesco.

La cosa mi mise anche in imbarazzo perché il vescovo ad Assisi deve essere anche il vescovo di tutti i francescani e io desideravo che le cose avvenissero in modo tale che nessuna delle famiglie francescane si sentisse trascurata rispetto all’attenzione che merita, ma il Papa fu in questo molto deciso di voler andare a mangiare dai poveri.

Il Papa è venuto ad Assisi anche molte altre volte…

Sì, Papa Francesco è venuto tante volte: per la visita nell’Anno della Misericordia, per la commemorazione dello Spirito di Assisi, per la firma della Fratelli tutti, per la Giornata dei poveri, per The Economy of Francesco.

Mi ha toccato in modo particolare il fatto che il Papa mi avesse dato il compito di aiutare i giovani economisti del mondo a ripensare l’economia in termini evangelici sulla scia di San Francesco.

Era un’iniziativa preventivata prima della pandemia, ma che è stata celebrata solo alla fine della pandemia. È stato bellissimo che finalmente migliaia di giovani hanno potuto firmare con il Papa un patto che è stato poi lasciato, in una giara decorata dai ragazzi del Serafico, nel giardino di Francesco a Santa Maria degli Angeli. Un patto per il rinnovamento dell’economia che parte dall’impegno per la pace. La pace che è stata, lo sappiamo, la grande parola, ahimè inascoltata, di Papa Francesco fino all’ultimo respiro. Questi sono i ricordi più forti che conservo nel cuore.

Il legame speciale di Papa Francesco con Carlo Acutis ci riporta ancora una volta ad Assisi…

Tutto è stato davvero provvidenziale: si è svolto con un disegno che stupisce con le sue coincidenze e corrispondenze. Nel 2013 il Papa arriva ad Assisi e in quello stesso anno inizia a Milano la causa di beatificazione di Carlo. Suppongo che in quel momento il Papa nemmeno lo conoscesse, io stesso lo conoscevo appena perché Carlo era sepolto ad Assisi. Nel giro di pochissimo tempo il Signore ha voluto – perché lo ha dimostrato anche con i segni che ha dato dall’alto con i due miracoli che hanno portato in brevissimo tempo alla beatificazione e alla prossima canonizzazione – che questo giovane fosse subito percepito e venerato come “santo” e adesso, effettivamente, con la canonizzazione santo della Chiesa universale. Papa Francesco si è subito innamorato di questa figura perché corrisponde tanto alla sua visione di Chiesa: non dimentichiamo l’Evangelii gaudium, la “gioia del Vangelo”.

Carlo è un volto che appena lo guardi ti ispira gioia, è un volto sorridente, è il volto di una Chiesa giovane, è il volto di un ragazzo del nostro tempo, che ha vissuto tutte le opportunità che il nostro tempo offre, con l’amore per la natura che stiamo riscoprendo, ma anche con la passione per la tecnologia e l’informatica da vivere anch’essa secondo uno stile evangelico. Il Papa di un ragazzo così non poteva non innamorarsi.

Mi ricordo quando ne abbiamo parlato che a Papa Francesco piaceva tanto lo slogan di Carlo “Originali, non fotocopie”. Un’originalità non banale, quella che soltanto ti fa differire dagli altri ma in fondo segui le mode; è l’originalità profonda, quella che si realizza quando siamo in sintonia con la nostra origine, con il nostro Dna, che è il fatto che veniamo da Dio, viviamo nel Suo amore e secondo il Vangelo. Questo modo di essere “originale” di Carlo piaceva particolarmente a Papa Francesco. Credo che abbia fatto di tutto per quanto gli era consentito dalla sua umanità per arrivare a questo traguardo della canonizzazione che doveva essere domenica 27 aprile. La Provvidenza ha disposto diversamente e noi sappiamo che i disegni della Provvidenza sono sempre per un bene più grande: quindi, ci aspettiamo che il nuovo Papa trovi anche nella canonizzazione di Carlo una ispirazione per continuare sulle orme di Papa Francesco a dare alla Chiesa un colpo d’ala, direi un colpo di giovinezza.

Sarebbe bello che potesse svolgersi la canonizzazione con la prima Eucaristia celebrata dal nuovo Papa, proprio per dire: ripartiamo con una Chiesa giovane, che vuol essere una Chiesa piena di amore per Gesù, di entusiasmo, di servizio, di solidarietà, tutta quanta eucaristica, come sia Francesco di Assisi sia Carlo Acutis ci invitano ad essere.

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Fonte: Sir