“Proteggeva i popoli nativi”: il grazie dell’Amazzonia a Francesco
Le voci dalla Rete ecclesiale panamazzonica: "Si può parlare di un vero e proprio innamoramento di Papa Francesco per l’Amazzonia, che risale ai tempi della Conferenza generale dei vescovi latinoamericani di Aparecida"

Anche dalle periferie del mondo si guarda a Roma e al Vaticano, nel momento dell’estremo saluto a Papa Francesco. Anche se sono praticamente assenti, oggi, in piazza San Pietro, le vesti colorate e le “teste piumate” dei popoli indigeni, come invece accadde al tempo del Sinodo dell’Amazzonia, nel 2019. Ma, nel cuore, la vicinanza è tanta, e la gratitudine al Papa che ha messo la grande foresta “al centro del mondo” risuona dagli angoli più lontani, arriva soprattutto dai popoli nativi.
L’indigeno che parlò davanti a Francesco. È il caso di Luis Tayori Kendero, peruviano di etnia harakbut. Fu lui a leggere il discorso, a nome del suo popolo, davanti al Papa, a Puerto Maldonado, nel gennaio 2018, in quella che resta l’unica visita diretta di Francesco in terra amazzonica. Un giorno memorabile, per tutti i popoli amazzonici. Il Papa entrò in Perù, proveniente dal Cile, atterrando proprio nella piccola e dimenticata Puerto Maldonado, e non, come di consuetudine, dalla capitale, in questo caso Lima. E lo fece nel Paese sudamericano nel quale il “peso” della capitale si avverte con maggior forza. Essendo la prima tappa della visita, tutte le principali autorità del Paese furono “costrette” ad accogliere Francesco nella località “ferita” dallo sfruttamento minerario, capoluogo di qualsiasi traffico illegale. E i protagonisti, quel giorno, furono gli indigeni, come Jessica Patiachi, anch’ella di etnia harakbut, successivamente partecipante al Sinodo del 2019, oggi vicepresidente della Rete ecclesiale panamazzonica (Repam), e appunto, Luis Tayori, che ricorda al Sir: “Ad alcuni anni di distanza, provo ancora tanta ammirazione per Papa Francesco e per le parole che ci disse quel giorno. Mi colpì molto la sua capacità di cogliere nel segno, la precisione delle sue parole, provenienti da una persona che aveva sempre vissuto in città, non certo in mezzo a una foresta. E poi ricordo il modo diretto di rivolgersi al Presidente della Repubblica, alle autorità, denunciando con chiarezza i diritti violati dei nostri popoli, i danni dell’attività estrattiva. Pareva uno del nostro territorio, seppe darci voce. Senza dubbio, è stato un grande protettore dei popoli nativi”.
Per questo, ora che il Papa è morto, c’è molto cordoglio, unito a una fortissima gratitudine. Ma, con speranza e saggezza, Tayori fa notare: “Il Papa, quel giorno, non è venuto a risolvere i nostri problemi, ma ci ha dato una nuova opportunità, tutti siamo chiamati a fare la nostra parte per difendere i nostri diritti e per la protezione del creato. Papa Francesco, per certi aspetti, è stato per noi un ponte verso il resto del mondo, con le sue parole chiare ci ha dato visibilità. L’eco del suo insegnamento, delle sue parole, continua a diffondersi”. Ecco perché quanto fatto da Francesco per i popoli indigeni e per l’Amazzonia non si esaurisce con la sua morte.
Un “innamorato” dell’Amazzonia. Come, dunque, rafforzare questa eco, far sì che continui a diffondersi? La parola passa a fra’ João Gutemberg Sampaio, religioso marista brasiliano, segretario generale della Rete ecclesiale panamazzonica, che ha sede a Manaus, nel cuore dell’Amazzonia brasiliana. “Si può parlare di un vero e proprio innamoramento di Papa Francesco per l’Amazzonia, che risale ai tempi della Conferenza generale dei vescovi latinoamericani di Aparecida, nella quale il cardinale Bergoglio fu relatore del documento – racconta al Sir -. In quel testo fu evidenziata l’importanza dell’Amazzonia, non solo in sé, ma per tutta l’umanità. Possiamo dice che l’incontro di Aparecida fu ‘la scuola di formazione’ del futuro Papa, che fin dai suoi primi passi ebbe ben presente la questione, anche grazie all’amicizia con il cardinale Cláudio Hummes, che è stato il primo presidente della Repam e poi della Ceama, la Conferenza ecclesiale dell’Amazzonia Dialogavano molto, soprattutto per capire come ascoltare la voce dei poveri. A partire da lì, ha poi ampliato questa visione, attraverso l’enciclica Laudato si’, in cui parlò dell’Amazzonia e della foresta tropicale del Congo come di polmoni per tutta l’umanità. Poi ha convocato il Sinodo sull’Amazzonia, coinvolgendo la Chiesa intera, stimolando una forte partecipazione delle comunità, nella regione. Pensava che questo cammino potesse illuminare anche quello di altri Continenti, nell’ottica dell’ecologia integrale. Poi è venuta l’esortazione postsinodale, in cui l’Amazzonia viene definita ‘querida’, ‘da amare’, ma mai in modo auto-referenziale. Si sono aperte grandi sfide per l’evangelizzazione. Oggi, Papa Francesco è ‘querido’, è molto amato da tutte le popolazioni dell’Amazzonia”.
Gutemberg precisa, quindi, che non bastava l’intuizione, occorreva dare “gambe” a questa nuova presenza della Chiesa in Amazzonia e a fianco dei popoli nativi: “Il Papa ha dato un’articolazione a questa Chiesa, perché avesse il volto amazzonico e dei popoli indigeni. Ha saputo valorizzare ciò che esisteva, una Chiesa con molte sfide, ma anche molto missionaria. Per questo, nel 2014 è nata la Repam, per connettere l’Amazonia con il mondo. Poi, dopo il Sinodo, è nata una struttura più organizzata ed ecclesiale, la Ceama, che si è affiancata alla Repam. Questo è accaduto perché il Papa sapeva ascoltare i movimenti della Chiesa. Francesco partiva dall’ascolto, dei popoli, dei poveri, delle donne, e poi utilizzava la sua autorità, vista come il servizio di chi ascolta e conferma un processo di cura per la vita. È un processo che lo Spirito sta accompagnando attraverso un cammino vissuto nella globalità della Chiesa, un processo partecipativo”. Uno dei frutti di questo lavoro è la presenza stabile di indigene e indigeni negli organismi direttivi di Repam e Ceama, ai vari livelli.
Cammino che prosegue e si diffonde. Oggi, dunque, “la popolazione amazzonica si sente molto emozionata per la vita donata di Papa Francesco. La notizia della sua morte ha generato molta impressione, gratitudine, molte celebrazioni. A Manaus c’è stata una messa molto partecipata, presieduta dal cardinale Leonardo Steiner, c’è stato un grande ringraziamento per quello che Francesco ha fatto, e per come continuerà a illuminare l’Amazzonia”. Secondo il segretario della Repam, “Francesco è stato illuminato da Dio; a partire dalla sua coscienza e da una coscienza collettiva, ha promosso un’agenda di attenzione per l’ambiente e le persone, come luogo della manifestazione di Dio, persone e ambiente sono state viste come grande santuario di Dio. Abbiamo la speranza che questo processo, che affonda le radici in Francesco d’Assisi, e ha visto una così ampia partecipazione, vada avanti. Un segno confortante è il fatto che reti ecclesiali di ecologia integrale si sono consolidate in diversi continenti, anche in altri contesti. Sappiamo, infine, che questa nostra esperienza affonda le sue radici nel martirio di tante persone, di molti difensori dell’ecologia integrale, tra i quali religiosi, sacerdoti, ma anche laici, leader indigeni e comunitari”.