Emanuele, quella domanda e l’abbraccio di Papa Francesco a Corviale
Il ragazzo rivolse al pontefice, durante la sua visita nella parrocchia di San Paolo della Croce, un quesito che emozionò il mondo. Oggi dice: "Portava il suo amore per il Vangelo a tutti"

Papa Francesco è stato il papa dei gesti, degli incontri, dell’ascolto, della vicinanza. La Chiesa che si fa prossima, a tutti. In questi 12 anni ricordiamo tanti incontri, volti e situazioni e uno in particolare dopo sette anni è riemerso con la stessa emozione. È il 15 aprile 2018 e il Papa visita la parrocchia di San Paolo della Croce a Corviale, periferia ovest di Roma, una chiesa che è situata all’inizio del palazzo lungo un chilometro.
I ragazzi del catechismo preparano questo incontro nelle settimane precedenti anche elaborando alcune domande da porre al Santo Padre. Ne vengono scelte quattro e tra queste una in particolare emoziona tutti: è quella di Emanuele, un bambino di 10 anni. Quella domanda da cui tutto è partito, è stata ritrovata grazie a Francesca, una delle catechiste della parrocchia. L’abbiamo portata all’Emanuele di oggi, ragazzo di 17 anni, emozionato nel rivedere ciò che aveva scritto, e a sua madre Elisabetta.
Tutto il mondo si è emozionato per quella domanda, lo possiamo dire a ragion veduta, per le numerose richieste di intervista che sono arrivate da diversi paesi europei e dagli Stati Uniti.
Il tuo episodio ha colpito tantissime persone. Che effetto ti fa tutto questo interesse?
“Trovo che sia strano essere così ricercato e poi dopo così tanto tempo da quell’avvenimento ma dall’altra parte tutto questo interesse mi fa ben capire l’amore che c’era per Papa Francesco. Se c’è stato così tanto interesse per un piccolo evento come il mio figuriamoci cosa ha toccato nel cuore delle persone tutto quello che ha fatto il Papa in questi anni”.
Torniamo a quel momento, il Papa arriva in parrocchia e al catechismo tutti i ragazzi sono invitati ad elaborare le domande da porgli. Tra queste ne vengono scelte quattro e la tua non poteva non essere presente. Al Papa hai chiesto: “Quasi tre anni fa è morto mio padre, lui era ateo però ha fatto battezzare me e i miei fratelli, era anche bravo in vita. È all’inferno oppure in paradiso?” Come è nata la tua domanda?
“Mio padre era morto tre anni prima, era ateo e fin da quando è morto nutrivo questo dubbio, possiamo chiamarlo così; mi era in parte stato indottrinato; mi era stato detto che gli atei non avevano accesso al Paradiso perché non credevano in Dio e questo ha avuto un forte impatto su di me che già ero molto triste e sconvolto per la morte di mio padre”.
Arriva il Papa in parrocchia per incontrare voi, ragazzi del catechismo e tocca a te porre quella domanda. Ma l’emozione ti blocca
“Sentivo l’agitazione nascere fin da quando i miei compagni hanno iniziato a porre le loro domande e poi quando è arrivato il mio turno non sono stato capace di contenere il mio pianto. Il Papa allora mi ha chiamato a lui; all’inizio ero ancora molto agitato e ho provato a non andare anche se ero quasi spinto da tutti a salire; ma una volta arrivato da lui, tra le sue braccia, tutta l’agitazione sparì; mi ha aiutato il Santo Padre che mi ha consolato e mi ha chiesto di dirgli all’orecchio la domanda e poi mi ha chiesto il permesso di porla alla gente che era venuta quel giorno”.
Che cosa hai sentito in quel momento, tra le braccia del Papa?
“Devo dire che non ho percepito il suo ruolo istituzionale, era un abbraccio familiare, tra pari; l’ho percepito in questo modo ed è stato molto piacevole”.
Il Papa ti ha rassicurato e alla fine ti ha detto “Prega per tuo padre e parla con lui”. È cambiato il tuo rapporto con tuo padre dopo quell’incontro?
“Devo dire che non avendo la certezza che mio padre fosse in Paradiso, era difficile per me immaginare di pregarlo o di poterci parlare, ma questa conferma del Papa mi ha tranquillizzato e mi ha permesso comunque di pensare in modo più positivo di mio padre”.
E in te, è cambiato qualcosa dopo quell’evento?
“Ha cambiato la mia concezione di Dio perché sentirmi dire che Dio ha un cuore di padre è stato abbastanza sconvolgente per me perché di solito si immagina Dio come un giudice”.
Cosa è rimasto a te, ragazzo dei nostri tempi, di questo Papa, dei suoi dodici anni di pontificato?
“Mi è capitato in questi anni di sentire appellato Papa Francesco con l’aggettivo eretico; e allora voglio ribaltarlo: non gli si potrebbe fare un complimento migliore perché quello che viene chiamato ‘eresia’ non è altro che la sua volontà di cambiamento e di rendere la Chiesa globale e di far conoscere alle persone che cosa sia la Chiesa; era un Papa che non aveva paura di agire per il bene della religione; era un Papa che credeva nel Vangelo e cercava di condividere questo suo amore per le Scritture con tutti”.
Il legame che Emanuele e sua mamma sentivano con Papa Francesco era speciale, quasi familiare, e questo è il motivo per il quale hanno evitato di andare per l’ultimo saluto nella Basilica di San Pietro: “Quando sono morti tutti i miei cari – ha detto Elisabetta – non li ho mai voluti vedere per ricordarli come erano in vita e siccome per me Papa Francesco è stato come una persona di famiglia, ho agito allo stesso modo”. Sul grande clamore mediatico che è nato sette anni fa e poi riemerso oggi intorno ad Emanuele e alla sua storia, Elisabetta ha aggiunto: “Questa storia ha dato speranza a tante persone, mi sono resa conto in questi anni di quante persone lontane dalla Chiesa e anche atee abbiano amato Papa Francesco; e dunque questa storia è stata anche un messaggio diretto per loro; oltre che consolatorio verso un bambino che da poco aveva perso il padre, in quell’abbraccio si sono immedesimate tante persone che fino a quel momento si erano sentite escluse”.
Mauro Monti