Bielorussia-Polonia: Ripamonti (Centro Astalli), “migranti usati come scudi umani per interessi politici. No ai muri”
“Ci scandalizziamo quando si usano gli scudi umani nelle guerre. Questo è un utilizzo ulteriore, forse più raffinato, delle persone come scudi o strumenti per ottenere risultati e portare avanti interessi politici”.
Lo afferma padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, parlando al Sir delle tensioni al confine tra Bielorussia e Polonia, dove si sono ammassati migliaia di uomini, donne e bambini migranti che stanno cercando di entrare nell’Unione europea. “Se non ci mettiamo nei panni delle persone che scappano da situazioni di conflitto e povertà continueranno ad essere degli strumenti di ricatto nelle nostre mani – dice padre Ripamonti -. Non sono i migranti il nemico contro cui schierarsi”.
Purtroppo, osserva, “questa è solo l’ultima situazione di un percorso in cui l’Europa in questi anni ha esternalizzato le frontiere e pagato gli Stati per non far entrare le persone in cerca di libertà e democrazia. E’ il caso dei siriani con la Turchia e degli africani in Libia e dei migranti sulla rotta balcanica. Ora questo braccio di ferro si fa sulla pelle delle persone più fragili e in difficoltà”. L’Ue sta tentando una mediazione diplomatica ma c’è anche chi invoca la costruzione di muri: “La richiesta di costruire muri è la risposta di chi vuole difendersi, di chi considera i migranti come nemico – dichiara padre Ripamonti -. In realtà il nemico è la nostra chiusura e il nostro voler gestire il fenomeno secondo gli interessi dei singoli Stati e non capire che il fenomeno migratorio è oramai di natura globale. E va affrontato con solidarietà e politiche lungimiranti di accoglienza e investimenti nei Paesi in via di sviluppo, per garantire anche il diritto a non partire”.
Secondo il gesuita “questa situazione non si risolverà a breve. Ora è venuta alla ribalta ma non dobbiamo dimenticare che nel frattempo continuano tutte le altre. Questo dimostra che le politiche attuali non sono vincenti ma portano soltanto ad ulteriori morti. Se ci abituiamo a queste morti perdiamo il senso della nostra umanità. Come succede nel Mediterraneo non dobbiamo dimenticare che la priorità è salvare le vita e aiutarli. Se diventano strumento di una discussione geopolitica è a causa della strumentalizzazione che se ne fa. Oramai ci sono persone che riteniamo sacrificabili. Ma questo non deve assolutamente accadere”.