Sinodo sulla famiglia/6* Matrimoni irregolari ed educazione dei figli
Sempre più di frequente – anche se non riesco ad azzardare una percentuale – genitori che non sono sposati in chiesa si rivolgono alla parrocchia per inserirvi i loro figli. Le loro richieste non sono diverse da quelle degli altri genitori. Come ha ben evidenziato qualche anno fa una ricerca del sociologo Alessandro Castegnaro, i genitori chiedono soprattutto due cose alla parrocchia.
La prima è la celebrazione dei sacramenti, ma intesi soprattutto come riti di passaggio nella crescita umana dei bambini, piuttosto che come sacramenti della fede. La seconda è la possibilità, per i loro figli, di frequentare un ambiente protetto ed educativo nel quale si stringono amicizie e si imparano alcune “abilità sociali” che non sempre si apprendono a scuola.
C’è quindi in tantissimi genitori, sposati in chiesa oppure no, una notevole fiducia nella capacità educativa della chiesa, anche se non le si chiede di educare specificamente alla fede. Da parte della parrocchia non c’è sempre la chiara percezione di questa domanda un po’ sfasata rispetto all’offerta. Perciò si saluta con piacere l’arrivo dei bambini e dei loro genitori all’inizio dell’itinerario catechistico, ma poi si resta delusi e amareggiati quando la maggior parte di essi se ne va dopo aver ricevuto i sacramenti.
Sembra che il messaggio non sia stato capito o che sia stato addirittura rifiutato, “rubando” i sacramenti ai quali in realtà non si aveva diritto, perché mancanti di fede. Dovremmo allora mettere uno sbarramento iniziale e accogliere nei cammini catechistici solo i figli di credenti-praticanti-sposati-in-chiesa? Saggiamente, i parroci non prendono in considerazione questa decisione e lasciano aperta la porta a tutti. È questa infatti un’ottima occasione per evangelizzare quegli adulti che da molto tempo non frequentano la chiesa o non l’hanno mai frequentata.
I genitori dei bambini – sposati in chiesa oppure no – potrebbero essere proprio i primi a beneficiare di quell’azione evangelizzatrice alla quale le parrocchie sono esortate da tanti documenti ecclesiali fino all’ultimo pubblicato, la Evangelii Gaudium di papa Francesco. Certo, le priorità dell’evangelizzazione sono diverse da quelle della cura d’anime. Nel caso specifico, l’accento non va posto sull’urgenza di “regolarizzare” la situazione matrimoniale, ma sulla possibilità di crescere nella fede. Tuttavia, l’occasione viene spesso sprecata per diversi motivi.
Credo che il principale sia la scarsa attitudine di noi parroci e dei nostri collaboratori ad avviare e condurre iniziative specificamente rivolte a coloro che non si sentono appartenenti alla chiesa. Se penso ai percorsi predisposti dai movimenti, trovo che i “nuovi” sono contattati personalmente e invitati a partecipare a incontri dedicati specificamente a loro. L’accoglienza che viene loro riservata è particolarmente calorosa. Coloro che vogliono proseguire nel percorso si trovano coinvolti in relazioni amicali molto intense.
In parrocchia, di solito, le cose vanno diversamente: l’accoglienza è spesso meno coinvolgente; le relazioni meno strette; l’entusiasmo meno evidente. I genitori che non sono sposati in chiesa non trovano certo diffidenza o ostilità per questo motivo, ma – come tutti gli altri – forse non trovano nemmeno motivi per coinvolgersi di più nella vita ecclesiale. Le parrocchie preparano i bambini e i loro genitori, sposati o no, alla celebrazione dei sacramenti con la catechesi. L’evangelizzazione vera e propria, però, stenta ancora a trovare spazio nella pastorale parrocchiale, anche se l’invito della Cei in tal senso ha ormai più di quarant’anni.