La Life "accarezza" i bambini mai nati
In diocesi di Padova, la Life di Campodarsego e la sezione di Ospedaletto nella Bassa Padovana danno sepoltura ai feti espulsi volontariamente e non, per riconoscere il dolore e dare consolazione a tante madri e padri feriti.
Non è un dolore minore. Non è nemmeno un dolore di cui vergognarsi per aver, in qualche modo, fallito. Quel cuoricino - a qualsiasi età gestazionale smetta di battere - appartiene a un bambino. È di un figlio cercato, desiderato, magari giunto inaspettatamente. Ma lui era un bambino, avrà anche un nome per sempre e, la sua, era una vita che andava vissuta. I suoi erano occhi che dovevano aprirsi alla luce.
Oggi si fatica ancora a chiamare per nome la sofferenza provocata dalla morte intrauterina, sebbene l'esperienza sia più diffusa di quanto si creda. Sebbene molte madri non abbiano il coraggio di parlarne, scoraggiate dall'atteggiamento molto diffuso che tende a minimizzare, a non considerare lutto ciò che lutto è fino in fondo senza se e senza ma...
E pur essendo poca cosa di fronte alla disperazione di un genitore, il pietoso gesto della sepoltura per questi corpicini, o parte di essi, è un primo passo innanzitutto psicologico ma, per chi crede o è in cammino, anche un profondo gesto di fede, per iniziare a riconcilarsi con una storia che abiterà per sempre il cuore di queste madri e di questi padri feriti.
In diocesi di Padova, a occuparsi di questa ultima "carezza" ai bambini mai nati è l'associazione Life, nata in seno alla parrocchia di Sant'Andrea di Campodarsego nel 2002. In base a una convenzione stipulata dalla Life (e prevista dall'art. 7 del dpr 285/90), l'azienda ospedaliera di Padova consegna ai volontari tutti i corpicini, o parte di essi, espulsi per aborto spontaneo o volontario, affinché non vengano trattati come "rifiuti" da incenerire oppure usati come materiale biologico per la produzione cosmetica.
Le sepolture sono collettive, forse un centinaio di piccoli per volta, e avvengono tre o quattro volte all'anno. All'obitorio i volontari compongono ciò che rimane dei bambini abortiti, poi li accompagnano in cimitero Maggiore per una breve cerimonia religiosa prima della sepoltura. Se la famiglia ne fa esplicita richiesta all'azienda ospedaliera, il rito può essere individuale.
Anche nella Bassa Padovana, dal 2008, è germogliata una sezione distaccata della Life grazie all'impegno di don Federico Camporese, parroco di Ospedaletto Euganeo, e di Maria Luisa Zanato che, con perseveranza, sono riusciti dopo anni a convincere il direttore sanitario e il personale medico, prima dell'ospedale di Monselice e ora di quelli riuniti di Montagnana, Este e Monselice, per consegnare loro i bambini mai nati dalle venti settimane fino ai sette mesi per dare loro sepoltura religiosa in un piccolo lembo del cimitero di Monselice.
«Tutto nasce dalla mia storia - racconta Maria Luisa Zanato - Nel 2002 aspettavo tre gemelli e il cuore di uno, al terzo mese, ha smesso di battere. A dicembre di quell'anno ho partorito tre bambini, di cui uno senza vita. Mio marito e io abbiamo convissuto con questa sofferenza per anni, senza trovare vie di uscita alla disperazione, poi l'arrivo nel 2004 di don Federico come parroco di Ospedaletto ci ha portato uno spiraglio di speranza. Ci siamo sentiti compresi finalmente nel nostro profondo dolore per quel figlio perduto e abbiamo deciso di impegnarci per questi piccoli che sono vita fin dal momento del concepimento».
Attualmente l'ospedale Madre Teresa consegna alla Life i bambini mai nati, le cui madri hanno acconsentito alla sepoltura. «Non sono molti - continua Maria Luisa Zanato - perché nel tragico momento dell'aborto le donne spesso sono sole e disorientate e non sanno che fare. Ci stiamo comunque avvicinando a un accordo con gli ospedali riuniti, affinché il personale medico possa distribuire un opuscolo ai genitori che subiscono la perdita repentina, in modo da informarli con estrema delicatezza dell'opportunità. La "cura" riguarda anche gli aborti volontari per aiutare queste madri morse dal senso di colpa e che possono sentire in questo gesto di bilanciare l'ingiustizia che sentono di aver provocato e iniziare a camminare di nuovo con speranza».