I giovani e la preghiera: serve tempo per maturarne appieno il gusto
Come è cambiato il rapporto dei giovani con la religiosità e in particolare con la preghiera? L'esperienza di due educatrici nel trasmetterne l'importanza, tra difficoltà e strumenti alternativi. La testimonianza di don Stefano Ferraretto che racconta il successo della Scuola di preghiera.
«Finora ci si domandava: “Che cos’è la preghiera?”. Oggi, tutto d’un tratto ci si domanda: “Preghiamo ancora?”».
Le parole del teologo e monaco trappista belga, André Louf, ben inquadrano i ciclici quesiti che le diverse generazioni si pongono sulla preghiera. Un ragionamento che, in estensione, tocca da vicino la quotidianità dei ragazzi. Pregano ancora? E che spazio danno alla preghiera?
«Per alcuni anni ho seguito bambini delle scuole elementari e medie e con loro è stato abbastanza facile parlare di preghiera – racconta Elisa Barbieri, educatrice alla parrocchia di Voltabrusegana – Realizzavamo attività manuali che si concludevano con spunti in chiave cristiana. Dall’anno scorso seguo, invece, quelli dalla prima alla quarta superiore e sono abbastanza distanti: quando si arriva al momento della preghiera, l’attenzione cala».
Elisa, 20 anni, guardandosi attorno, vede tra i suoi coetanei sempre più distacco dal credere in determinati valori: «È una fase in cui vogliono allontanarsi da qualcosa che sentono imposto dai genitori. Non capisco, però, come la religione sia diventata un tabù dei giorni nostri: si parla liberamente di tutto, ma appena si sfiora questa sfera prendono le distanze».
«Uno strumento alternativo è la preghiera cantata – aggiunge Sara Fabris, 27 anni, molti dei quali passati come animatrice nella parrocchia della Mandria – Vedo un trasporto maggiore e maggior consapevolezza nelle parole che si pronunciano rispetto a quella recitata. Parlare di preghiera è difficile, ma noi gettiamo semi nella speranza che in futuro e nell’intimo rimanga qualcosa. È un rapporto che matura con il tempo e con la consapevolezza, l’ho capito con la mia esperienza: tra semplici dialoghi o preghiere rivolte ai miei affetti, oggi vivo il mio rapporto con Gesù con naturalezza».
Del resto, ridefinire la centralità della preghiera, vivendola come esercizio e non solo discutendone in astratto, è un compito che coinvolge da sempre il cristiano
Già i primi discepoli avvertirono il bisogno di ricevere un’istruzione sulla preghiera, giungendo a chiedere a Gesù, come ricorda il vangelo di Luca, di insegnar loro a pregare.
È questo il pilastro sul quale poggia la Scuola di preghiera promossa dal seminario maggiore di Padova dove, mensilmente, giovani dai 18 anni in su si ritrovano per vivere un’esperienza comunitaria e personale: «Il ritrovo è per le 20 e come momento iniziale i giovani hanno la possibilità di cenare con i seminaristi nel grande refettorio – spiega don Stefano Ferraretto – Dopodiché si introduce il tema della serata seguito da canti, preghiere, l’ascolto del brano e meditazioni».
Per coinvolgere i ragazzi, a partire dal 2000, anno di inizio del percorso, sono stati sperimentati diversi approcci in modo da cogliere la loro attenzione e sensibilità sul come porsi le giuste domande, scindendo le riflessioni spontanee da quelle forzate: «Dentro il continuo calo dei seminaristi – continua don Stefano – la scuola rimane una bella occasione di contatto che ha fatto conoscere il seminario ai giovani e viceversa. I ragazzi che in questi anni sono passati, e sono migliaia, hanno colto la centralità della Parola e dell’eucaristia e l’hanno portata nelle loro comunità dando anche vita ad altri gruppi di preghiera».