Padova verso il voto. Fausta Ongaro: «I numeri non mentono. Cambiamo direzione»
Una città che in dieci anni è molto cambiata e questo cambiamento va governato, non subito. Dobbiamo cambiare direzione: «Occorre ridare fiducia, occorre che l’economia riprenda a girare. Il problema è molto serio. Più che indicare una direzione, direi che serve più un’inversione di direzione perché l’oggi non è entusiasmante: tanti vecchi, la crisi economica, giovani spaesati», sottolinea la demografa Fausta Ongaro.
La demografia, la scienza che studia in modo prevalentemente statistico i fenomeni che riguardano la popolazione, ci consegna attraverso i numeri la possibilità di leggere e capire quello che sta accadendo intorno a noi.
Materia apparentemente arida, in realtà, grazie alla guida di Fausta Ongaro, docente di demografia alla facoltà di Scienze statistiche dell’università di Padova, è uno strumento duttile ed efficace.
Una città con la popolazione in calo...
«A fine 2016 Padova conta 210 mila abitanti: cinque anni fa ne aveva tremila in più. Il calo demografico però non è una peculiarità di Padova, che si colloca nella media veneta, e non è una novità, anzi il calo della popolazione avrebbe anche potuto essere più forte.
È il saldo naturale che è negativo, per cui ci sono molti più decessi che nascite: l’anno scorso a fronte di 2.600 decessi ci sono stati 1.547 nati. Invece è positivo il saldo sociale (o migratorio), vale a dire la differenza tra immigrati ed emigrati nella città, ma non è abbastanza alto da annullare quello naturale.
Il movimento positivo comunque è dovuto alla popolazione di stranieri perché per gli italiani è negativo, infatti vanno via da Padova più residenti italiani di quanti ne arrivano.
La fascia di età tra i 35 e i 64 anni è quella in cui c’è una maggiore fuoriuscita dalla città, mentre arrivano persone appartenenti a fasce di età più giovani. Un movimento che viene compensato dalla popolazione straniera e che comunque non comprende i 58 mila studenti universitari».
Il dato più evidente è comunque quello dell’invecchiamento…
«Sì, a Padova ci sono 210 anziani, vale a dire persone con più di 65 anni, ogni 100 giovani, persone fino a 15 anni: oltre il 50 per cento dei residenti sono anziani. Aiuta la popolazione con cittadinanza straniera perché composta in maggioranza da persone tra i 20 e i 40 anni, senza anziani e con bambini.
Interessante è studiare la composizione dei quartieri e delle unità urbane dentro i quartieri: il centro è vecchio ma alcune zone del centro sono ancora più vecchie. Nel quartiere Savonarola l’indice di vecchiaia raggiunge il 331, ma qui incide la presenza di una importante casa di riposo.
I quartieri più vecchi sono il Centro e il Sud Ovest 5, poi all’interno ci sono le Piazze, Città giardino, Porta Trento, Mortise, San Bellino. I quartieri più giovani sono il Nord (Arcella) e quello Ovest (Chiesanuova, Cave, via dei Colli)».
Sono importanti le differenze tra i quartieri?
«Certo perché ogni zona ha le sue peculiarità. Chi vive in centro ha meno problemi di spostamento, ma negli altri quartieri? I bisogni sono differenziati rispetto a dove si vive perché incide la presenza di negozi, di servizi sanitari, di movimento, di verde, di servizi e in particolare di quelli importanti per gli anziani. I bisogni sono differenziati a seconda del reddito e di dove si vive.
Alcuni quartieri con tassi di anzianità elevati forse garantiscono una vita di vicinato che aiuta, ma se sono quartieri dormitorio, con pochi servizi, la popolazione è penalizzata.
In una città abbiamo situazioni complesse da esplorare, e attraverso i dati demografici si possono cogliere quali potrebbero essere i bisogni: trasporti, cura, servizi sociali.
In alcuni quartieri c’è uno squilibrio molto forte dei sessi con la prevalenza di molti maschi giovani e lì dovremmo intervenire per equilibrare ed evitare situazioni difficili, perché maschi giovani adulti senza famiglia non sanno incanalare e gestire l’aggressività e questo alla lunga diventa un problema».
E le famiglie?
«Dobbiamo affrontare le conseguenze sociali che derivano dalle dimensioni delle famiglie che sono composte da un solo individuo spesso anziano, e dal rapporto di mascolinità che si va riducendo con gli anni in favore delle donne perché queste vivono più a lungo degli uomini.
Le famiglie straniere, dove è presente una maggiore mascolinità, sono più numerose e con più bambini e questo implica altri aspetti ancora e richiede quartieri con strutture ed esigenze diverse.
Inoltre calano i matrimoni, ma non sappiamo quanto aumentano le convivenze: in dieci anni i matrimoni civili sono passati dal 43 al 63 per cento e quelli con almeno uno degli sposi con cittadinanza straniera dal 19 al 33 per cento. Le unioni civili sono state 8.
I figli nati fuori dal matrimonio non rappresenta più un fenomeno sociale; gli aborti sono in calo, ma aumentano tra le donne immigrate: sono loro che hanno i tassi di abortività più alti».
Qual è la direzione della città?
«C’è un calo demografico che bisognerà invertire e non possiamo contare solo sugli immigrati. Ora pesa la crisi e dal 2010, da quando è entrata nel vivo, ha ulteriormente ridotto le capacità dei giovani di costruire una famiglia, al punto da rinunciare a mettere al mondo un figlio. Diventare padri e madri dovrebbe essere una scelta poco razionale, ma non succede. Viviamo un forte ritardo e ci saranno conseguenze; anche i migranti fanno meno figli.
Occorre ridare fiducia, occorre che l’economia riprenda a girare. Il problema è molto serio.
Più che indicare una direzione direi che serve più un’inversione di direzione, perché l’oggi non è entusiasmante: tanti vecchi, la crisi economica, giovani spaesati. Si deve insistere su forti cambiamenti.
C’è un’esigenza della società e una parte che resiste, ma bisogna insistere perché si rischia una disgregazione forte a livello sociale».
Padova fa storia a sé rispetto alle altre città?
«Non credo che Padova abbia una peculiarità rispetto all’Italia. L’università porta persone di livello medio alto, ma quanto partecipano della vita della città?
Formiamo tanta gente preparata alla quale non sappiamo dare un lavoro adeguato, i nostri giovani son tirati su per lavorare in una dimensione internazionale, forse ci siamo distratti.
Questa città ha tanti elementi di qualità: università, ricerca medica e sanitaria, ma non è attrezzata adeguatamente.
Basti pensare che non esiste uno spazio idoneo per ospitare un congresso internazionale. Padova ha tante ambizioni, ma in realtà non ha le infrastrutture necessarie. Ci sono tanti motivi per invertire la direzione».