Padova verso il voto: sociale, prima e più dei soldi serve un progetto
Una città che invecchia e che vede crescere la povertà. In cui oltre 300 persone vivono per strada. Una città che ha paura, che ha perso la fiducia nel futuro. Occorre un'inversione di marcia che ridia ossigeno e speranza. Serve un impegno concreto che agisca in maniera efficace sui meccanismi sociali e che non sia lasciato alla buona volontà dei singoli o alla lungimiranza di chi per vocazione si occupa dei soggetti deboli. Forse mancano i soldi, ma certamente manca un progetto.
Qualcosa non va a Padova.
A Pasqua due uomini anziani che vivevano soli sono stati trovati morti in casa. Nessuno se ne è accorto, nessuno ha sentito il loro silenzio. Solo l’odore della morte ha avvertito i vicini della tragedia. E questa “distrazione” non dipende dal quartiere perché uno viveva in centro e l’altro in periferia, alla Paltana. La solitudine li accompagnava.
Certo, eventi del genere sono sempre accaduti e sempre accadranno perché è impossibile avere il controllo totale di quanto accade in città, ma lo sconcerto nasce quando si analizzano i dati e si verifica come l’assistenza agli anziani, ai soggetti deboli, vada diminuendo di anno in anno. Complice la crisi naturalmente, ma forse anche un cambio di mentalità.
La paura si è insinuata nelle case e nelle piazze, alzando muri di diffidenza e solitudini. Manca una rete sociale in grado di intercettare il disagio e dare risposte. A Padova ci sono 10 mila over 75 che vivono soli e 3 mila di questi non hanno legami parentali. Eppure anche quel piccolo segno di attenzione che era la “telefonata amica” fatta da numerose associazioni di volontariato a casa degli anziani soli non c’è più: eliminata o drasticamente ridotta.
La solitudine impera nonostante le mille telecamere che controllano il territorio in maniera strategica per rispondere al bisogno di sicurezza che pare attanagliare i padovani e che ha causato anche episodi gravi come, a fine dicembre, gli atti di vandalismo che all’Arcella hanno reso inagibili due appartamenti che dovevano accogliere dei migranti, mentre a inizio maggio i residenti si sono mobilitati per impedire che 15 profughi fossero ospitati in tre appartamenti situati nello stesso condominio.
Una paura che rende difficile la convivenza e l’accoglienza e che spinge la città a ripiegarsi sempre più su se stessa.
E la povertà dilaga, come dimostra la denuncia subita da un uomo di 76 anni fermato in un supermercato mentre cercava di nascondere 80 euro di spesa.
Dal 1991 al 2010 il reddito della classe media italiana ha subito un taglio del 20 per cento, mentre quello delle fasce basse è sceso del 23, una situazione che colloca il nostro paese tra quelli dell'Unione europea che hanno subito il maggior impoverimento.
Secondo gli ultimi dati Istat, sono almeno 15 mila i padovani che vivono in condizione di povertà assoluta e le cause principali di povertà, anche a Padova, sono quella economica e il disagio occupazionale, ma spesso i problemi sono abitativi e familiari. Si stima infatti che in città ci siano più di 300 persone che vivono in strada (nella foto, un momento della "Notte dei senza fissa dimora" organizzata lo scorso autunno in piazza Duomo), comprese 15 famiglie che vivono in auto, ma Padova è in grado di offrire solo duecento posti letto in strutture di accoglienza.
Il contrasto alla marginalità non può essere però limitato a azioni “tampone” o a risposte di emergenza
Per essere efficace, deve saper innescare una riflessione molto profonda che porti a mettere in discussione l’intero sistema sociale ed economico.
Dall’analisi preliminare al progetto dei Cantieri di carità e giustizia lanciato dalla diocesi, è emerso che sono oltre 70 le realtà religiose e sociali che in città si misurano con la povertà, con 2.600 persone coinvolte: un impegno che, al netto del costo delle strutture e delle attrezzature, vale 3 milioni e mezzo di euro, se i 2.600 volontari fossero stati retribuiti con i voucher.
Dalla mappatura realizzata dalla Fondazione Zancan risulta che l’80 per cento di queste realtà offre un’azione continuativa nel tempo, ma per il 67 per cento degli operatori la sensazione è di non riuscire a soddisfare la domanda di aiuto che nella metà dei casi riguarda l’assenza di lavoro: senza un’occupazione non si esce dalla condizione di bisogno.
Quasi tutti hanno un rapporto diretto con le persone che aiutano: con l’ascolto, la distribuzione di beni di prima necessità, l’assistenza economica, il supporto informativo e di accompagnamento, ma il problema è che queste azioni appaiono risposte all’emergenza, non incidono in maniera risolutiva.
Lo dimostra anche un ulteriore dato: i due terzi del personale impiegato è volontario e fornisce un impegno gratuito quantificato in 200 mila euro al mese, ma l’emergenza si mangia il 70 per cento di questo sforzo. Significa di fatto un continuo rincorrere il problema anziché porre le basi per risolverlo.
È qui che esperienze come quella del Fondo straordinario di solidarietà mostrano che quando si chiede agli aiutati di aiutare, di mettere a disposizione le loro capacità, si mettono in moto risorse impensabili.
Il Fondo straordinario di solidarietà, l'iniziativa nata dall'accordo tra Caritas Padova e Fondazione Cariparo, tra il 2008 e il 2009, per sostenere chi ha subito la crisi economica e la perdita del posto di lavoro, in otto anni ha messo in campo 38 milioni di euro e sostenuto 11.600 persone nel territorio delle province di Padova e Rovigo. Un aiuto che è soprattutto sostegno per il reinserimento lavorativo per cui, per esempio, tra il 2015 e il 2016 sono state erogate 95 borse lavoro.
Tanti soldi, ma anche tante persone che sono riuscite a recuperare sicurezza e dignità anche grazie all’aiuto dei volontari che in questi anni hanno lavorato perché queste risorse fossero utilizzate al meglio e non semplicemente “consegnate” a chi ha bisogno.
Anche le risorse che il comune ha destinato ai servizi sociali sono diminuite
Nel 2015 la città contava su un budget di 4 milioni 800 mila euro che nel 2016 è sceso a 4 milioni, e in dieci anni la cifra pro capite è passata da 23 a 19 euro.
In due anni - dal 2014 al 2016 - è stato stimato che il taglio al sociale da parte dell'amministrazione comunale sia stato di 9 milioni, ma più della mancanza di denaro preoccupa l’abbandono delle politiche sociali: ai nomadi di via Bassette è stata assegnata una casa, ma l’accompagnamento di questa comunità che ha dovuto cambiare stile di vita è stato lasciato al volontariato.
Oggi gli indici demografici ci raccontano di una città che invecchia, di giovani che emigrano e di un'immigrazione che potrebbe essere elemento vitale, ma per far questo occorre pensare agli anziani come risorsa, fare spazio ai giovani e muoversi sul terreno dell’accoglienza e dell’integrazione.
A Padova, come nel resto dell'Italia, gli over 65 rappresentano ormai un quarto dei residenti ed è cresciuto anche il numero degli over 80. Nel Padovano si registra il numero più alto di ultraottantenni di tutto il Veneto: sono circa 60.600, con un aumento percentuale in dieci anni del 38,9 per cento. La politica deve per forza tenere conto dei dati sull'anzianità della popolazione.
Un’indagine sull'invecchiamento della popolazione veneta realizzata dal sindacato pensionati della Cgil Veneto elaborando gli ultimi dati dell’Istat afferma che nel Padovano gli over 65, soggetti a politiche specifiche soprattutto nel campo del welfare e della sanità, sono 202 mila e rappresentano il 21,6 per cento del totale con un aumento del 20,1 per cento rispetto al 2006.
Anche l’indice di invecchiamento dovrebbe spingere ad agire: nel 2006 in provincia di Padova ogni 100 ragazzi c'erano 137 anziani, nel 2016 questo rapporto è di 100 under 14 ogni 157 ultrasessantacinquenni, con un aumento del 14,1 per cento in dieci anni e un contemporaneo aumento della solitudine: tra vedove, celibi o nubili e divorziati, nel Padovano sono 77.719 le persone sole, per lo più vedove.
Eppure l'ambito sociale dovrebbe essere elemento fondante di una città realmente inclusiva, se si vuole uscire dall’emergenza.
Non possiamo continuare a pensare agli anziani come a una fascia debole perché possono invece rappresentare una grande risorsa se accompagnati da politiche adeguate. Non posiamo abbandonare chi vive in difficoltà contando solo sulle forze, e sull’ottimismo, del volontariato.
La sensazione che emerge dall’analisi del welfare cittadino è insomma che ci sia una situazione di stallo, una mancanza di progettualità sociale che sta erodendo la qualità della vita e alimentando la paura del futuro, la chiusura, anziché puntare sulla fiducia che insieme, investendo sulla solidarietà e sulla condivisione, sia possibile uscire dalla crisi.