Ora prendici tu per mano. In rete centinaia di foto e immagini dove le mani di Francesco sono sempre centrali

Una condivisione collettiva di ricordi e racconti che, come tanti pixel, sono andati a formare l’immagine di un uomo, che da Papa ha saputo parlare al cuore di tutti, indistintamente

Ora prendici tu per mano. In rete centinaia di foto e immagini dove le mani di Francesco sono sempre centrali

“Care sorelle e cari fratelli, buongiorno! E grazie tante di essere venuti! Nelle mani ho un discorso di nove pagine. A quest’ora con lo stomaco che incomincia a muoversi, leggere nove pagine sarebbe una tortura. Io darò questo al Prefetto. Che sia lui a comunicarlo a voi”.

È sabato 25 gennaio 2025. Manca poco a mezzogiorno. Quella mattina l’incontro con i partecipanti al Giubileo dei comunicatori era il settimo in un’agenda fitta di udienze. Papa Francesco arriva in Aula Paolo VI in anticipo. Il fiato è corto e la fatica si fa sentire. Ma non manca il sorriso. Il discorso – come si vede nei reel che hanno fatto il giro del mondo – passa nelle mani di Paolo Ruffini e Papa Francesco parla a braccio.

“Volevo soltanto dire una parola sulla comunicazione. Comunicare è uscire un po’ da se stessi per dare del mio all’altro. E la comunicazione non solo è l’uscita, ma che l’incontro con l’altro. Saper comunicare è una grande saggezza, una grande saggezza”.

“Sono contento di questo Giubileo dei comunicatori. Il vostro lavoro è un lavoro che costruisce: costruisce la società, costruisce la Chiesa, fa andare avanti tutti, a patto che sia vero. ‘Padre, io sempre dico le cose vere…’ – ‘Ma tu, sei vero? Non solo le cose che tu dici, ma tu, nel tuo interiore, nella tua vita, sei vero?’. È una prova tanto grande. Comunicare quello che fa Dio con il Figlio, e la comunicazione di Dio con il Figlio e lo Spirito Santo. Comunicare una cosa divina. Grazie di quello che voi fate, grazie tante! Sono contento”. E dopo le parole, Papa Francesco passa dalle parole ai fatti. Per riempire le parole di vita e di verità. “E adesso vorrei salutarvi, e prima di tutto dare la benedizione”.

Quel sabato mattina Papa Francesco è sceso tra i giornalisti, è uscito da sé per dare del suo a ciascuno dei presenti. Indistintamente. Con grande verità. Dedicando più tempo e attenzione agli ultimi, a quelli che stavano in fondo all’Aula Paolo VI. Nonostante la stanchezza e i sintomi di quella che, avremmo scoperto di lì a un paio di settimane, era una polmonite bilaterale polimicrobica.

Per 38 giorni gli occhi di tutto il mondo sono stati rivolti al decimo piano del Gemelli, dove per due volte Francesco è stato tra la vita e la morte. Ma anche lì non si risparmia. Quando domenica 23 marzo viene dimesso, prima di far ritorno a Casa Santa Marta si affaccia dal balcone del Gemelli. Esce ancora una volta “da sé” per dare qualcosa agli altri. Senza nascondere la sua sempre più grande fragilità.

Lo ha fatto anche domenica scorsa, quando al termine della Messa è arrivato in piazza San Pietro per augurare a tutti “buona Pasqua” e poi per impartire dalla loggia centrale della basilica la benedizione Urbi et Orbi. Non solo. Perché ancora una volta è sceso in piazza, in mezzo alla gente. Meno di 24 ore più tardi l’annuncio del card. Farrell: “Carissimi fratelli e sorelle, con profondo dolore devo annunciare la morte del nostro Santo Padre Francesco”. 

La notizia è rimbalzata subito sui social tra stupore, smarrimento e tristezza. È iniziato così un lungo moltiplicarsi di post, ricordi e immagini. Una condivisione collettiva di ricordi e racconti che, come tanti pixel, sono andati a formare l’immagine di un uomo, che da Papa ha saputo parlare al cuore di tutti, indistintamente. E, guardando scorrere sullo schermo i tanti post pubblicati in questi giorni, lo ha fatto con le sue mani.

Alla foto delle mani di Papa Francesco nella bara, che sull’account Ig di Vaticannews ha raccolto più di 417mila like (in questi giorni la seconda foto con più like, dopo il ritratto di Francesco nel post che ne annunciava la morte) si sono aggiunte centinaia di altre foto e immagini dove le mani di Francesco sono sempre centrali. Mani che stringono altre mani, mani che accarezzano la testa di un bambino, mani che sfiorano delicatamente la pancia di una futura mamma, mani che si intrecciano a quelle dei potenti della terra così come con quelle degli ultimi del mondo. Mani che si aprono allo stupore di un gioco di magia, come possiamo vedere nel reel  condiviso in questi giorni da fra Adriano Apollonio, più conosciuto come Mago Magone. Mani che sorridono e che rassicurano, con quel pollice in alto “alla Fonzie”, che è entrato a far parte del vocabolario della nostra gestualità. Mani che benedicono altre mani “perché possano essere utilizzate con il cuore”, come è accaduto a Sergio Alfieri, coordinatore dell’equipe medica del Papa. Mani che mandano un bacio ai detenuti di Regina Coeli, dove Papa Francesco si è recato il Giovedì Santo, rammaricandosi di non essere in grado di lavare loro i piedi. Mani che toccano la sofferenza. Mani che spezzano il pane, mani che pregano e che perdonano. Mani che benedicono. Mani che bussano alla Porta Santa – è accaduto la sera del 24 dicembre a San Pietro e, un paio di giorni più tardi, il 26 dicembre, nel carcere di Rebibbia – come se bussassero direttamente al cuore di Dio. Mani che all’alba del lunedì di Pasqua, prima dell’addio, dicono ancora una volta “grazie”.

“Il tatto – aveva ricordato Papa Francesco il 6 febbraio 2022 nell’intervista a Che tempo che fa – è il senso più completo, che ci mette la realtà nel cuore: toccare, farsi carico dell’altro. Se guardiamo senza toccare qual è il dolore della gente, mai potremo trovare un’altra via”.  Mani tese verso l’altro, mani in uscita, che in questi 12 anni di pontificato hanno scritto – non me ne vogliano i teologi – una vera e propria enciclica, con cui Francesco ha reso l’Invisibile tangibile. Lo ha fatto mettendo a disposizione di Gesù le proprie mani perché tutti potessero sentire, sulla propria pelle, la tenerezza e la misericordia del Padre. Quella tenerezza e quella misericordia che Francesco non si è mai stancato di annunciare, non solo a parole, ma soprattutto con i gesti, a partire proprio dalle mani. E che oggi è l’eredità che consegna nelle mani di ciascuno di noi.

Le mani sono ritornate anche nel videomessaggio che Francesco ha registrato per il Festival di Sanremo, nel quale ancora una volta aveva dato voce agli ultimi, ai più piccoli, invocando il dono della pace. “Sai – aveva detto rivolgendosi al conduttore, Carlo Conti – la musica è bellezza, la musica è strumento di pace. È una lingua che tutti i popoli, in diversi modi, parlano e raggiunge il cuore di tutti. (…) Pensando al tuo invito penso direttamente a tanti bambini che non possono cantare, non possono cantare la vita, e piangono e soffrono per le tante ingiustizie del mondo, per le tante guerre, le situazioni di conflitto. Le guerre distruggono i bambini. Non dimentichiamo mai che la guerra è sempre una sconfitta. Questo è quello che desidero di più, vedere chi si è odiato stringersi la mano, abbracciarsi e dire con la vita, la musica e il canto: la pace è possibile!”.

Caro Papa Francesco, tu ci hai ricordato che “la musica può aprire il cuore all’armonia, alla gioia dello stare insieme, con un linguaggio comune e di comprensione facendoci impegnare per un mondo più giusto e fraterno”. La musica è la tenerezza di una carezza di cui tutti oggi ci sentiamo un po’ orfani. Una carezza che – permettimelo – oggi desidero restituire io a te. Non te lo aspettavi, eh, questo fuori programma? Anche in questo, ammettiamolo, sei stato un buon maestro. Le note sono quelle di un tuo conterraneo, l’argentino Astor Piazzolla. Nel 1984 scrisse un brano per oboe e pianoforte, dal titolo “Tanti anni prima”. Era stato composto per il film “Enrico IV” di Marco Bellocchio. Più tardi ci aveva aggiunto le parole trasformando quella melodia in una dolcissima Ave Maria, che donò poco prima di morire a Milva, sua amica dal 1981, con la raccomandazione di eseguirla al momento giusto. Milva l’ha proposta al pubblico mondiale durante il Giubileo del 2000. In questo Giubileo della speranza, quelle note si fanno ringraziamento e preghiera per te. Con una piccola richiesta: ora, per favore, prendici tu per mano. E non mollare la presa. Grazie

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Fonte: Sir