Funerali di Papa Francesco. Bernardini: “Un’onda di affetto reale, non solo un evento mediatico”

Massimo Bernardini analizza la partecipazione ai funerali di Papa Francesco: “Un’onda di affetto autentico, non solo uno show”. Tra memoria storica, linguaggio dei gesti e ruolo dei media: “La sobrietà non è moda, è storia della Chiesa contemporanea”

Funerali di Papa Francesco. Bernardini: “Un’onda di affetto reale, non solo un evento mediatico”

Il 67% di share complessivo registrato dai funerali di Papa Francesco ha reso l’evento uno dei momenti televisivi più seguiti nella storia recente d’Italia. Ma dietro i numeri, si è manifestato un moto autentico di partecipazione e riconoscenza. Massimo Bernardini, giornalista e conduttore, interpreta questo fenomeno come il segno di un legame vero tra la figura di Bergoglio e la gente, capace di attraversare piazze, schermi e generazioni. E invita a riflettere su come i media raccontano oggi i grandi momenti collettivi.

Un dato di ascolto straordinario: è solo televisione o il segno di qualcosa di più profondo?
Gli ascolti sono un indicatore importante, anche se non sono la Bibbia. C’è stata una partecipazione emotiva forte. Per anni si è detto che Papa Francesco piacesse più agli esterni che ai suoi fedeli. Invece no: durante la settimana dei funerali si è visto un affetto reale, profondo, una riconoscenza sincera per ciò che ha seminato. Pace, attenzione agli ultimi, riapertura della domanda religiosa: per molti è stato questo.

Non era uno “show” televisivo da guardare passivamente. Era una partecipazione autentica, come si vedeva anche in piazza San Pietro.

Tra folla e schermi, quale movimento ha animato il Paese?
La gente era parte attiva di questo momento. Chi era a Roma ha fatto un gesto fisico importante, ma anche chi seguiva da casa era dentro questo movimento. Non si è trattato solo di restare sul divano: c’era uno spostamento interiore, un bisogno di esserci, di riconoscere.

La folta presenza dei media internazionali è stata un segnale della forza comunicativa di Francesco?
La morte di un Papa è sempre un evento globale. Ma Francesco, con il suo stile informale e la sua capacità di parlare a tutti, ha conquistato il mondo. Da Londra, in un Paese storicamente poco amico del papato, sono stati inviati giornalisti a raccontare l’evento, e non solo per dovere. Si percepiva che stava accadendo qualcosa di universale.

La sobrietà richiesta da Bergoglio è riuscita a emergere anche nel racconto mediatico?
Va detto con chiarezza: non è la prima volta che un Papa chiede sobrietà. Paolo VI ha abolito il triregno. Giovanni Paolo I, anche nella brevità del suo pontificato, ha proseguito in questa linea. Giovanni Paolo II, pur nella grandezza del suo funerale, aveva voluto semplicità nel rito. Francesco si inserisce in questa storia. Certo, il racconto mediatico tende sempre un po’ a spettacolarizzare, ma la sostanza della sobrietà è stata rispettata.

Quali gesti liturgici hanno saputo parlare al cuore del mondo?
Alcuni gesti sono stati molto forti: la croce semplice, la bara spoglia, l’atmosfera raccolta.

È importante che nella messa non si sia insistito sulla spettacolarizzazione. È stato un rito che parlava con sobrietà e densità, senza aggiungere inutili orpelli.

Eppure c’è ancora una distanza tra questo stile e il linguaggio televisivo contemporaneo.

La televisione italiana ha saputo interpretare la gravità e la semplicità del momento?
La Rai ha fatto una scelta molto bella: togliere la pubblicità. Poi anche Mediaset l’ha seguita. È stato un bel gesto. Però il problema è che il nostro sistema televisivo tende sempre a ripetere le immagini, a trasformare tutto in evento. Dopo poche ore si parlava già del “toto-Papa”. Io avrei preferito fermarsi, lasciare sedimentare, rispettare il tempo della Chiesa e del lutto.

La foto di Trump e Zelensky nella Basilica di San Pietro ha fatto il giro del mondo. Che forza comunicativa ha avuto quell’immagine?
La realtà è complessa e non sempre le coincidenze sono casuali.

Ma in quel momento il centro del mondo era a Roma.

Il Papa, anche nella morte, ha saputo tenere il mondo attorno a un gesto di pace e di essenzialità. È un messaggio che resta, anche oltre i giochi geopolitici.

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Fonte: Sir