Schermi

Sono cinque i registi italiani in gara alla 78ª Mostra del Cinema della Biennale di Venezia (al Lido dal 1° all’11 settembre): Mario Martone con “Qui rido io” con Toni Servillo, opera dedicata alla memoria di Eduardo Scarpetta; Paolo Sorrentino con “È stata la mano di Dio” sul calciatore Diego Armando Maradona, film targato Netflix; “America Latina” dei gemelli Damiano e Fabio D’Innocenzo con Elio Germano; “Il buco” di Michelangelo Frammartino, che torna dietro alla macchina da presa dopo “Le quattro volte” (2010); e infine “Freaks Out”, opera seconda di Gabriele Mainetti dopo il successo di “Lo chiamavano Jeeg Robot” (2015).

Questioni di cuore: il filo rosso che lega le proposte tra cinema e piattaforme nel punto Cnvf-Sir. Da un lato le vie del sentimento con il film Netflix “L’ultima lettera d’amore” di Augustine Frizzell interpretato da Shailene Woodley, Felicity Jones e Callum Turner; il racconto di un amore contrastato dal romanzo della scrittrice Jojo Moyes. Dall’altro lato due titoli sulla passione per il calcio: la commedia brillante “Ted Lasso” con Jason Sudeikis, serie Tv alla prova della seconda stagione, dal 23 luglio su AppleTv+, e al cinema il film denuncia di taglio educational “Tigers” di Ronnie Sandahl passato alla 15a Festa del Cinema di Roma

Raccontare 70 anni di serialità Tv si può? Sebbene l’estensione temporale sia non poco vasta (senza contare le varie industrie culturali in campo), e consapevoli anche di una (e forse più) mutazione televisiva, l’impresa non appare affatto azzardata o impossibile. Al contrario. È uscito infatti nelle librerie “Storia delle serie Tv”, ricerca in due volumi curata da Armando Fumagalli, Cassandra Albani e Paolo Braga, che esamina attraverso una pluralità di approcci, sguardi e competenze, sette decenni di racconti Tv: da “La piovra” a “Colombo”, da “Don Matteo” ai recenti “Game of Thrones” o “The Crown”.  Di questa impresa editoriale, ma soprattutto del panorama produttivo e fruitivo delle serie Tv oggi, ne abbiamo parlato con Armando Fumagalli, ordinario di “Teoria dei linguaggi” all’Università Cattolica e direttore del master in International screeenwriting and production.

Mentre sulla Croisette iniziano i pronostici per la Palma d’oro, in vista della chiusura della 74a edizione del Festival di Cannes sabato 17 luglio, ecco il punto settimanale Cnvf-Sir sulle novità tra cinema e piattaforme. In sala dall’8 luglio c’è “Occhi Blu”, esordio alla regia dell’attrice Michela Cescon, un noir dalle atmosfere francesi calato nella Capitale con protagonista una misteriosa Valeria Golino. E ancora due interessanti commedie: anzitutto su Sky-Now c’è “Made in Italy” del regista-attore James D'Arcy, racconto brillante e malinconico che mette a tema il rapporto padre-figlio con un intenso duetto tra Liam Neeson e Micheál Richardson; su Prime Video la commedia a pennellate romance “Blackout Love” dell’esordiente Francesca Marino con Anna Foglietta e Alessandro Tedeschi

Il divertimento per tutti è assicurato. Grazie ad audiogiochi per ciechi e ipovedenti, a videogiochi accessibili per parlare di diversità e a un’escape room (online e da tavolo) che utilizza la comunicazione aumentativa alternativa per favorire l’integrazione di chi ha problemi cognitivi. Articolo pubblicato sulla rivista SuperAbile Inail

Grandi eventi benefici e spazio a realtà internazionali, ma anche programmi di approfondimento e serie televisive con un denominatore comune: una nuova attenzione per il sociale. Ecco cosa vedremo sulle tre reti Rai

Raffaella è stata un personaggio internazionale, certo, legata a brani e trasmissioni più leggere, da Canzonissima a Milleluci con Mina, da Fantastico (con Gigi Sabani altri miti del calibro di Corrado e Renato Zero) a "Carramba! Che sorpresa", prima di andarsene, poche ore fa. Senza clamore, e lasciando molti nel dolore e nel rimpianto. E non sono state parole di maniera. Raffaella Carrà ha rappresentato l’equilibrio che ha accompagnato periodi difficilissimi della nostra storia, anni di piombo e delitto Moro compresi, in cui l’apparizione televisiva non era espediente per l’esibizione trasgressiva fine a se stessa, ma una sorta di continua mediazione in progress verso la cosiddetta modernità. Un’icona assoluta e baciata dal dono della misura pur nel sorridente e inevitabile viaggio mediatico verso la modernità.

“Mi ha sempre colpito molto l’etica del lavoro di Raffaella Carrà, il fatto che lei non coincidesse con il suo personaggio”. In altre parole “Maria Roberta Pelloni era più importante di Raffaella Carrà, suo nome d’arte”: così Massimo Bernardini, tra i giornalisti e conduttori italiani più noti del piccolo schermo, ricorda al Sir Raffaella Carrà, morta oggi all’età di 78 anni.