Un ritorno (im)possibile. “L’idiota” di Dostoevskij

Perché “L’idiota” è considerato uno dei capolavori assoluti di Dostoevskij?

Un ritorno (im)possibile. “L’idiota” di Dostoevskij

Siamo a Firenze, dove Fëdor Michajlovič Dostoevskij si ferma per qualche tempo nel suo secondo viaggio in Italia. Qui, come riportato in una targa in Piazza Pitti, il genio russo finisce di scrivere uno dei suoi capolavori, dal titolo non tantissimo accattivante: “L’idiota”. E d’altronde a titoli e incipit poco incoraggianti lo scrittore in fuga dalla Russia per debiti vari, aveva abituato i suoi lettori: cinque anni prima, per dirne solo una, il suo romanzo “Memorie dal sottosuolo” (che tanto colpirà Freud) iniziava con “io sono una persona malata… sono una persona cattiva. Io sono uno che non ha niente di attraente”, il che non è proprio un invito alla lettura nei riguardi di un pubblico abituato a interni borghesi e damine salottiere.

E il suo idiota, il principe Myškin, potrebbe essere confuso con l’eroe maledetto romantico, quello alla Byron, per intenderci, senonché le sue caratteristiche lo allontanano, e di parecchio, da quel genere. Il nostro principe è colto su un banalissimo treno, e in “carrozza di terza”, al suo ritorno dalla Svizzera, dove per tre anni è stato curato nel tentativo di guarire dall’epilessia, malattia di cui, come è noto, soffriva lo stesso Dostoevskij.

Il principe, in attesa di ricevere una eredità, non ha nulla di superomistico. È una persona remissiva, ma intelligente e profondo, riesce a trovare nei discorsi degli altri le verità che sfuggono abitualmente all’ascolto distratto dei salotti nobiliari e borghesi non solo russi, e per questo talvolta viene preso per un debole privo di energia e carattere. E deriso.

L’apprezzamento di idiota torna spesso nel romanzo, soprattutto quando entra in scena una bellissima donna, Nastàs’ja Filìppovna, che gode però di una pessima fama, perché mantenuta, contesa da personaggi sinistri, tra cui un amico del Principe, Rogožin. Il quale ne è innamorato follemente, e l’avverbio non è casuale, la tampina tra Mosca e san Pietroburgo, ma rimane di sasso quando capisce che la donna si sta lentamente innamorando del suo povero amico. Dilaniato dalla volontà di uccidere, e ci prova pure, il Principe e dalla consapevolezza della sua assoluta bontà, si fa da parte, permettendo a Nastàs’ja di sposare Myškin, tra l’altro oggetto di mire matrimoniali anche di altre signorine della buona società russa. Ma non avverrà nulla di quanto le prime tre parti del romanzo potrebbero far prevedere, con il ritorno del Principe nelle nebbie dello smarrimento psichico.

Perché “L’idiota” è considerato uno dei capolavori assoluti di Dostoevskij, assieme a “Delitto e castigo” e “I fratelli Karamazov”, solo per citare pochi titoli? Perché secondo alcuni in questo romanzo è celata la risposta alla domanda di molti: cosa ne sarebbe di Gesù se nascesse ai nostri tempi? Qualche anno dopo lo stesso scrittore risponderà alla domanda attraverso “La leggenda del santo inquisitore”, terribile inserto all’interno de “I fratelli Karamazov” con le parole stesse dell’inquisitore, che chiede a Cristo: “Perché sei venuto a disturbarci?”. Il che non ha bisogno di commento.

L’idiota è, per tornare al nostro romanzo, l’assolutamente buono, che, pur di salvarla da un infelice matrimonio, si offre di sposare lui, inerme e sperduto, la bellissima contesa da tanti sedicenti nobili, a si offre ai colpi e alle offese senza nulla replicare se non con la voce del profondo. Che non è il sottosuolo dell’inconscio di qualche anno dopo, ma il soffio divino nascosto dentro di noi che alcuni riescono a riconoscere e metterlo al servizio del bene attraverso il darsi all’altro, dimenticando gli idoli del benessere. E talvolta del passato.

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Fonte: Sir