Il mistero di Bettbrunn. Un dipinto dalla firma incerta e un cold case artistico
Sarà un Cranach o un Gambara il "Salvator Mundi" di St. Salvator, il più antico santuario sul territorio tedesco?

Bettbrunn è un paesino a circa 90 chilometri a nord di Monaco. Situato in una radura della foresta di Kösching, nell’Alta Baviera, conta 235 abitanti. Ma nel corso dell’anno arriva ad ospitare oltre 13.500 persone. Sono i pellegrini che da ogni parte della Germania si recano in pellegrinaggio a St. Salvator, il più antico santuario sul territorio tedesco. Là dove oggi si trova il santuario, con il suo campanile di 70 metri che domina l’intera zona, un tempo c’era una fattoria, chiamata “Viehbrunn” – letteralmente ‘fonte per il bestiame’ – dove c’era una sorgente utilizzata per abbeverare gli animali.
Siamo nei primi anni del XII secolo. Il pastore di questa fattoria è un uomo pio, che ha una particolare devozione per il Santissimo Sacramento. La chiesa parrocchiale a cui apparteneva la fattoria si trovava nel paese di Tholling e ci volevano un’ora e mezza di strada per raggiungerla. Questo impediva di fatto all’uomo di partecipare alle celebrazioni. Nella sua semplicità, l’uomo escogita allora un modo per portare con sé a casa un’ostia consacrata. La domenica di Pasqua, dopo aver ricevuto la comunione, la avvolge in un panno e la ripone nella sua sacca da pastore. L’ostia consacrata diviene una compagna quotidiana, da cui l’uomo non si separa nemmeno quando porta il gregge al pascolo nel bosco. Ha infatti realizzato infatti un particolare bastone, con un’apertura rotonda sull’estremità superiore, dove aveva fissato l’ostia, in modo che non potesse cadere. Quando il bestiame si riposava, l’uomo conficcava il bastone-ostensorio nel terreno e si inginocchiava davanti al Santissimo Sacramento in venerazione. Un giorno, però, si scatena un violento temporale. Tuoni e fulmini mettono in fuga gli animali e lui, per cercare di radunarli lancia il suo bastone. Ma si sbaglia e prende quello contenente il Santissimo Sacramento. L’ostia cade a terra. L’uomo si precipita a raccoglierla, ma non ci riesce. Ogni suo tentativo risulta vano. È costretto a raccontare tutto al parroco di Tholling, che giunto sul posto tenta anche lui di raccogliere l’ostia. Invano. Viene allora chiamato l’allora vescovo di Ratisbona, Hartwich, che si reca sul posto accompagnato da diversi sacerdoti. Ma anche in questo caso, l’ostia rimane come inchiodata a terra. Decide allora di fare voto di costruire una cappella in quel luogo. E l’ostia consacrata si lasciò raccogliere. Il vescovo Hartwich fa subito costruire una cappella in legno dove custodire e conservare l’ostia. È il 1125, così come possiamo leggere oggi in un libretto sui pellegrinaggi pubblicato in Germania nel 1584.
La prima chiesetta in legno, divenuta fin da subito meta di pellegrinaggi, brucia in un incendio nel 1329. E con essa brucia anche l’ostia consacrata, che era stata conservata in una teca posta sull’altare maggiore. Si salva solo un’immagine lignea di Cristo Salvatore, alta 34 centimetri, di epoca alto-romanica (1125 circa) dove Gesù viene rappresentato come un re. Nel 1329-39, la fabbrica della cattedrale di Ratisbona costruisce sulle ceneri dell’antica cappella in legno una chiesa gotica a navata unica lunga 37 metri, che nei decenni successivi viene ulteriormente ampliata per accogliere le migliaia di fedeli che giungono in pellegrinaggio da oltre 60 parrocchie tedesche.
I pellegrini si fermano in preghiera davanti alla statuetta raffigurante Cristo Salvatore. Ma non solo. Sostano anche davanti ad un quadro, che in questi ultimi giorni è salito agli onori delle cronache. Di questo dipinto, raffigurante Gesù “Salvator Mundi” e del cold case artistico ad esso legato, ne hanno parlato in questi ultimi giorni anche i social.
Siamo nell’estate 2023. Il dipinto a olio, che risale al Cinquecento, ha bisogno di essere restaurato. E per questo viene affidato alle Belle Arti bavaresi.
Di fronte a quel Cristo dai tratti semplici e lineari, raffigurato con una veste verde e un mantello rosso poggiato sulla spalla sinistra, con le dita della mano destra alzate in segno di benedizione, mentre nella mano sinistra regge una sfera trasparente, come un globo reale, che simboleggia il mondo, ci si chiede: ma chi è l’autore del dipinto? Nella parte superiore del dipinto troviamo un’iscrizione contenente un motto latino e l’anno 1570. Accanto all’anno, un serpente stilizzato, simbolo che in quegli anni era una sorta di firma della famiglia Cranach. E subito sotto due iniziali “L.C.” a caratteri sottili. Il monogramma ha fatto pensare subito a Lucas Cranach il Giovane (1515-1586).
La notizia fa subito il giro del mondo, rimbalzando sui siti e sulle pagine social degli appassionati di arte. Un’ipotesi quanto mai plausibile, quella di attribuire il dipinto a Cranach, autore di un gran numero di opera, tra cui appunto tavole con temi religiosi e profani, ritratti e stampe, considerato uno dei più importanti ritrattisti tedeschi del tardo Rinascimento.
Il restauro del quadro è durato oltre un anno e sta per essere completato. Ma fin da ora si annuncia un finale a sorpresa sul nome del suo autore.
Non solo le lettere, inizialmente identificate erroneamente come “L.C.”, erano state interpretate come un riferimento a Cranach il Giovane, ma anche la qualità pittorica dell’opera. La vernice invecchiata, uno strato protettivo trasparente, era diventata giallastra e aveva lasciato delle striature biancastre, ed erano visibili anche dei vecchi ritocchi. I tecnici delle Belle Arti hanno sottoposto il dipinto ad una serie di esami artistico-tecnologici con luce radente, fotografia a fluorescenza UV, riflettografia a infrarossi e raggi X. In sostanza il quadro è stato analizzato minuziosamente in ogni sua parte. Questo ha permesso ai restauratori delle Belle Arti bavaresi di appurare che il dipinto è stato ampiamente rielaborato almeno due volte nel corso dei secoli. Durante il processo di restauro è emerso che le iniziali inizialmente intese come “L.C.”, in realtà sono “L.G.”.
Chi è, allora, l’autore di questo quadro?
“Ci sono alcune prove a favore di Lattanzio Gambara, un pittore manierista italiano, che ha operato soprattutto a Brescia e Parma”, spiegano dalle Belle Arti bavaresi.
Figlio di Ludovico Tamburinio de Bosis oriundo di Gambara, di professione sarto, e di Annunziata de Mori, Lattanzio Gambara (1530 circa – 1574) è stato allievo a Cremona di Giulio Campi e collaboratore di Girolamo Romani, detto il Romanino, di cui sposa la figlia Margherita, dalla quale avrà cinque figli. Portano la sua firma gli affreschi delle pareti sulla navata centrale del duomo di Parma, così come dipinti conservati a Brescia, Vimercate e Venezia. E proprio durante il breve periodo trascorso nella città lagunare realizza una serie di opere andate perdute, ma ricordate dalle fonti. Tra queste c’era, forse, anche il “Salvator Mundi”, di fronte al quale, da cinque secoli, pregano migliaia di fedeli nella chiesa di St. Salvador a Bettbrunn.
E ora, che ne sarà del dipinto? Il quadro è ancora nei laboratori di restauro, in attesa degli ultimi ritocchi. Una volta completati, il dipinto tornerà in estate a Bettbrunn. Il parroco don Wojciech Wysocki lo sta aspettando. Il quadro sarà esposto in parrocchia. “Anche se non si tratta di un Cranach – ha dichiarato – è comunque un prezioso e antico originale. Ora desidero chiarire le questioni relative alla sicurezza sia con l’Ufficio delle Belle Arti che con la diocesi di Ratisbona, di cui Bettbrunn fa parte. Una copia del quadro sarà collocata nella chiesa di St. Salvator. Si presta bene per la cappella dei ceri votivi, quelli portati dalle parrocchie in pellegrinaggio”. Oggi a Bettbrunn ci sono circa 240 di questi ceri, il più antico dei quali risale al 1378. “La cappella – conclude don Wysocki – è attualmente in ristrutturazione e si spera che i lavori terminino presto”. La copia sarà benedetta dal vescovo ausiliare di Ratisbona, Josef Graf.