Istat: l’occupazione sta rallentando

La frenata rilevata dall’Istat induce a pensare che si stia esaurendo l’onda lunga della bruciante ripresa post-Covid

Istat: l’occupazione sta rallentando

“Nel quarto trimestre 2024 rallenta la crescita tendenziale del numero di occupati”. Nel suo linguaggio asciutto l’Istat ci ha comunicato nei giorni scorsi una notizia particolarmente rilevante e non positiva. L’aumento del numero degli occupati, infatti, da almeno due anni è stato il fenomeno che ci ha consentito di guardare con un certo ottimismo all’andamento dell’economia italiana. Un aumento che di mese in mese, di trimestre in trimestre, registrava nuovi record, pur in contrasto con il dato del Pil – la complessiva ricchezza prodotta dal Paese – che invece segnava il passo in modo preoccupante. Un paradosso statistico che si è cercato di spiegare in varie maniere, per esempio soffermandosi sulla qualità dell’occupazione e soprattutto sull’espansione del cosiddetto “lavoro povero” e sullo scarso tasso di produttività. L’aumento c’è stato, il tasso di occupazione è oggettivamente ai massimi storici, ma resta assai lontano dalla media europea e già questo elemento – per la terza economia della Ue – avrebbe dovuto indurre a valutazioni più prudenti dal punto di vista politico. Ora però la frenata rilevata dall’Istat induce a pensare che si stia esaurendo l’onda lunga della bruciante ripresa post-Covid e che fosse proprio questo trascinamento a spiegare il paradosso di cui sopra. Prima di concludere che si è trattato di un aumento essenzialmente inerziale, però, bisognerà attendere i prossimi mesi e probabilmente verrà fuori che i fattori in campo sono stati diversi. La realtà è sempre più complessa degli slogan. Meriti e colpe si possono attribuire ai governi in modo univoco soltanto per motivi ideologici e di propaganda.
Resta nella sua concretezza il problema di fare i conti con una spinta propulsiva in via di esaurimento, in una fase storica di per sé estremamente difficile. La situazione geopolitica è quella che è, non c’è bisogno di spendere troppe parole per descriverne le implicazioni sul piano economico. Implicazioni che non sono un corollario, ma costituiscono la materia stessa della partita terribile che si sta svolgendo. In questo contesto non bisogna cadere nella tentazione illusoria di puntare sulla produzione di armamenti come principale volano produttivo. A quanto è dato capire, infatti, ad avvantaggiarsi del riarmo sarebbero i soliti soggetti internazionali – statuali ed economici – che già oggi monopolizzano il settore. La questione della difesa europea è un tema sicuramente centrale, ma va affrontato a livello politico alto tenendo presenti tutti i suoi risvolti, senza utilizzare più o meno obliquamente la produzione di armamenti e il suo indotto come appetibile scorciatoia. In occasione della pandemia l’Europa ha già dimostrato di saper trovare gli strumenti adeguati e appropriati per sostenere la crescita economica ed è in questa prospettiva che anche oggi bisogna muoversi. Nell’attesa di nuove decisioni, che non dovrebbero tardare ad arrivare, per il nostro Paese si tratta sin d’ora di impiegare al meglio le ingenti risorse del Pnrr nella fase decisiva del suo completamento. E’ proprio qui che la nostra economia può ritrovare lo slancio perduto.

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Fonte: Sir