Il lavoro che verrà

Ogni trasformazione tecnologica di ampie dimensioni porta dei cambiamenti profondi nelle diverse professioni

Il lavoro che verrà

Ogni settimana escono ricerche sull’impatto dell’intelligenza artificiale sul mondo del lavoro. Ancora una volta niente di nuovo sotto il sole. Ogni trasformazione tecnologica di ampie dimensioni porta dei cambiamenti profondi nelle diverse professioni. Pensate quali cambiamenti immensi ha provocato l’avvento delle automobili in un mondo che era abituato a muoversi con gli animali, o cosa avrà generato negli scrittori di documenti l’avvento della stampa. Lo stesso vale per la vita quotidiana: l’arrivo di frigoriferi e lavatrici ha completamente cancellato il mercato del ghiaccio e il ruolo delle lavandaie. Migliaia di posti di lavoro persi. Migliaia di nuovi posti di lavoro guadagnati. Da sempre le corporazioni legate a professioni del passato si lamentano, da sempre chi intuisce lo sviluppo che accade individua nuove possibilità.

Rispetto a trasformazioni simili, l’irrompere dei sistemi di intelligenza artificiale mostra alcune caratteristiche che meritano di essere sottolineate. Anzitutto la velocità della trasformazione in atto: a differenza del passato, il processo attuale è velocissimo e non offre quei tempi medio lunghi che permettevano, nel passato, di comprendere cosa stava accadendo, accompagnare la transizione, immaginare le nuove professioni e preparare le persone al lavoro del futuro. Il tempo breve non gioca a favore della cura delle persone coinvolte.

La seconda caratteristica riguarda le professioni che sono e saranno toccate. Mentre in passato la tecnologia ci ha aiutato a ridurre i lavori particolarmente faticosi (con un guadagno in termini di qualità della vita a dir poco eccezionali), oggi le professioni che saranno molto probabilmente sostituite saranno o quelle particolarmente ripetitive e procedurale (ad esempio nel settore bancario o nella pubblica impresa) o, addirittura, alcuni lavori creativi (sceneggiatori e giornalisti sono due categorie seriamente minacciate da questa trasformazione). Addirittura, la scorsa settimana una ricerca mostrava come probabilmente, in un prossimo futuro, spariranno professioni nobili quali il notaio.

Qualcuno, davanti a questi scenari certo inquietanti, lancia grida e lamenti, invocando una tanto impossibile quanto sciocca sospensione di questo cambiamento. Non ha mai funzionato, non funziona e non funzionerà. Piuttosto, una custodia seria e responsabile delle persone e della società che è disegnata in modo peculiare dal lavoro delle persone (la nostra Repubblica – recita il primo articolo della costituzione – è fondata sul lavoro) impone ben altri passaggi.

Anzitutto la tutela, mediante significativi ammortizzatori sociali, delle persone che si trovano di punto in bianco senza un lavoro. In secondo luogo – e qui la questione è più complessa – è necessario un particolare impegno nel campo della formazione umana e professionale di giovani e adulti che vivono o stanno per inserirsi in un mondo del lavoro clamorosamente in mutamento. In terzo luogo, una particolare vigilanza affinché le nuove professioni, frutto di una potente tecnologizzazione, non subiscano il rischio di una perdita della qualità umana del lavoro: l’alienazione torna – ebbene sì – un tema particolarmente urgente. Infine, dobbiamo operare un radicale cambiamento nell’immaginario lavorativo che offriamo alle giovani generazioni che verranno: non possiamo più raccontare loro un mondo che non esiste, non possiamo illuderli. A ben vedere quattro scelte che ci rendono più umani.

Lungi da essere una maledizione da evitare, il lavoro è il modo umano con cui abitiamo il mondo. Il catechismo dice che è il modo con cui compartecipiamo all’opera del Creatore. Quanto di più dignitoso si possa pensare. Ma tutto ciò accade solo se custodiamo alcune condizioni di giustizia, solo se ci prendiamo cura dei più deboli e di chi, per motivi diversi, non ce la fa. Solo se ci preoccupiamo del futuro e non rimaniamo imbrigliati in un passato che sembra rassicurare ma che in realtà soltanto illude.

Andrea Ciucci

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Fonte: Sir