Dna sulla scena del crimine: prova infallibile o traccia ingannevole?

Con l'analisi di almeno 20 marcatori, la probabilità che due individui non imparentati condividano casualmente lo stesso profilo genetico diventa inferiore a una su un quintilione (un numero con 18 zeri). Ma nonostante l'impressionante precisione statistica, non si può parlare di certezza assoluta

Dna sulla scena del crimine: prova infallibile o traccia ingannevole?

Negli ultimi anni, la cronaca ha riportato frequentemente casi giudiziari nei quali frammenti di Dna ritrovati su oggetti o superfici diventano determinanti per identificare sospetti o vittime. Ma quanto è realmente attendibile l’identificazione di una persona attraverso un piccolo campione biologico?

L’identificazione genetica si basa sull’analisi di specifiche regioni del DNA chiamate Short Tandem Repeats (Str). Gli Str sono brevi sequenze di Dna, generalmente di 2-6 nucleotidi, che si ripetono consecutivamente un numero variabile di volte, simili a “balbettii genetici”. Ad esempio, una sequenza come “Gata” (Guanina, Adenina, Timina, Adenina) può essere ripetuta 7, 10 o 15 volte, e tale variabilità è differente da persona a persona, rendendo gli Str ideali per creare un profilo genetico individuale. Ogni individuo possiede, per ciascuna regione Str, due varianti (alleli), ereditate rispettivamente dal padre e dalla madre, generando così una combinazione altamente distintiva. Generalmente, i laboratori di genetica forense analizzano dai 13 ai 24 marcatori Str contemporaneamente. Più marcatori si utilizzano, più affidabile diventa l’identificazione.

Con l’analisi di almeno 20 marcatori, la probabilità che due individui non imparentati condividano casualmente lo stesso profilo genetico diventa inferiore a una su un quintilione (un numero con 18 zeri).

Nonostante l’impressionante precisione statistica, non si può parlare di certezza assoluta. Diversi fattori influenzano infatti la solidità dei risultati. Primo tra tutti, la qualità e la quantità del Dna raccolto: campioni troppo ridotti o degradati a causa delle condizioni ambientali (umidità, calore, esposizione alla luce) possono portare a risultati incerti o parziali.

Inoltre, il Dna presenta alcune specifiche limitazioni. Ad esempio, gemelli monozigoti possiedono profili Str identici e risultano indistinguibili con le tecniche standard. Anche i parenti stretti, come genitori, figli e fratelli, condividono circa il 50% del loro na, aumentando il rischio di sovrapposizioni parziali nei profili genetici.

Un’altra problematica importante è rappresentata dalla contaminazione dei campioni o dal cosiddetto “trasferimento secondario”: il Dna di una persona può essere trasferito indirettamente attraverso una semplice stretta di mano o un contatto intermedio con oggetti, senza che la persona stessa abbia mai toccato direttamente la superficie incriminata.

Inoltre, la presenza di Dna in un luogo non indica necessariamente la presenza fisica o un comportamento specifico dell’individuo in questione: il Dna può persistere a lungo nell’ambiente, talvolta per settimane o anni, in condizioni favorevoli.

In sintesi, sebbene l’identificazione tramite Dna rimanga uno strumento straordinariamente potente nelle indagini giudiziarie, è essenziale interpretare sempre i risultati in modo rigoroso e contestuale. I sistemi giudiziari più evoluti trattano il Dna come parte di un quadro probatorio più ampio, valutando attentamente le condizioni di raccolta, conservazione e analisi dei campioni. Soltanto in questo modo è possibile sfruttare al meglio la forza dell’identificazione genetica, consapevoli però anche dei suoi limiti intrinseci.

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Fonte: Sir