Venezia78. Quinto giorno: in concorso “Illusions perdues” di Xavier Giannoli e “Sundown” di Michel Franco
Nel quinto giorno alla 78a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia due autori noti al Lido. Il primo è il francese Xavier Giannoli che dopo l’applaudito “Marguerite” del 2015 si presenta in concorso con il film storico di respiro letterario “Illusions perdues” dal romanzo di Honoré de Balzac. Uno sguardo rivolto alla Parigi dell’800 tessendo continui rimandi al nostro presente, al mondo del giornalismo, dell’editoria come pure della politica. Ancora, dopo il successo a Venezia77 con “Nuevo orden” il regista messicano Michel Franco propone il dramma “Sundowon” con Tim Roth, racconto intimo e al contempo di netta denuncia sociale. Infine, un richiamo al film di Paul Schrader “The Card Counter” con Oscar Isaac passato in gara il secondo giorno del Festival. Il punto Cnvf-Sir dalla Mostra, domenica 5 settembre
Nel quinto giorno alla 78a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia due autori noti al Lido. Il primo è il francese Xavier Giannoli che dopo l’applaudito “Marguerite” del 2015 si presenta in concorso con il film storico di respiro letterario “Illusions perdues” dal romanzo di Honoré de Balzac. Uno sguardo rivolto alla Parigi dell’800 tessendo continui rimandi al nostro presente, al mondo del giornalismo, dell’editoria come pure della politica. Ancora, dopo il successo a Venezia77 con “Nuevo orden” il regista messicano Michel Franco propone il dramma “Sundowon” con Tim Roth, racconto intimo e al contempo di netta denuncia sociale. Infine, un richiamo al film di Paul Schrader “The Card Counter” con Oscar Isaac passato in gara il secondo giorno del Festival. Il punto Cnvf-Sir dalla Mostra, domenica 5 settembre.
“Illusions perdues”
Classe 1972, il regista parigino Xavier Giannoli con quasi una decina di lungometraggi all’attivo e alcuni titoli di richiamo come il citato “Marguerite” e il più recente “L’apparizione” (2019), arriva a Venezia78 con
un’opera indubbiamente matura e compatta.
Parliamo di “Illusions perdues”, dal romanzo omonimo di Honoré de Balzac, che ci conduce nella Francia del XIX secolo. Protagonista è Lucien (Benjamin Voisin) un giovane poeta di provincia innamorato della sua mecenate (Cécile de France), che decide di seguire alla volta di Parigi per trovare fortuna come scrittore. L’impatto con la città è però destabilizzante. Ritrovandosi solo, il giovane inizia a frequentare la redazione di un giornale liberale che gli permette rapidamente di inserirsi nell’ambiente intellettuale e della politica del tempo. La facile gloria però richiede un prezzo molto caro, soprattutto se si possiede una purezza verso l’arte e la bellezza…
Accolto con applausi alla proiezione della stampa, il film “Illusions perdues” di Giannoli si è subito fatto notare tra i titoli in gara.Si tratta infatti di un’opera riuscita, di grande raffinatezza visiva; il regista ha saputo costruire un racconto storico dagli echi letterari che ricorda per bellezza e complessità tematica “J’accuse” (2019) di Roman Polanski.
Come in quel caso, dove si raccontava lo scandalo Dreyfus e i riverberi sulla salute dell’informazione nella società, in “Illusions perdues” viene messo a tema il ruolo del giornalismo, la deontologia professionale e le seducenti sirene esercitate da potere, denaro e politica. Al di là della precisione interpretativa di Benjamin Voisin, Cécile de France o Xavier Dolan, a convincere più di tutti è proprio la regia e la scrittura di Giannoli, così puntuale, calibrata e raffinata nell’annodare i fili con il presente. Un’opera che si candida giustamente a un possibile riconoscimento.
Su “Illusions perdues” ha dichiarato Massimo Giraldi, presidente della Commissione film della Cei e giurato del premio Signis alla Mostra: “Certamente il ritratto che emerge dalla potente e meticolosa ricostruzione di Balzac è quello di una società in pieno fermento, avviata verso un’inesorabile decadenza, soprattutto a causa di ricchezza e corruzione dilaganti.
Xavier Giannoli, ben consapevole di queste leve del racconto, ha composto un’opera di grande respiro che parte da ieri e giunge sino a noi.
È sintomatico che il protagonista Lucien cominci con le migliori intenzioni, il fuoco ardente della poesia e della scrittura, per poi restare impelagato nei giochi sporchi del mondo dell’editoria e della politica del tempo”.
“Illusions perdues” è un film elegante, dolente e di forte drammaticità, che dal punto di vista pastorale è complesso, problematico segnato da raccordi poetici.
“Sundown”
Alla Mostra 2020 il suo “Nuevo orden” aveva colpito e convinto molti, permettendogli di vincere il Gran premio della giuria. Ora Michel Franco, messicano classe 1979, torna al Lido con “Sundown”, film con cui muove una nuova critica alla ferocia crescente nel tessuto sociale messicano (e non solo). La storia: Acapulco oggi, in un resort di lusso si trova in vacanza una facoltosa famiglia inglese composta da Neil (Tim Roth), da sua sorella Alice (Charlotte Gainsbourg) e dai figli di lei. Richiamati a Londra d’urgenza, Neil inventa una scusa all’aeroporto e si ferma in un albergo di modesta categoria nel lungomare della città. Dirada poi i contatti con i familiari decidendo di trascorrere le giornate senza scopo…
La regia e la scrittura di Michel Franco sono sempre molto intense, dalla forza visiva a tratti opprimente.
L’autore ricorre a dure suggestione, spesso cariche di violenza, per scuotere lo spettatore intorpidito dinanzi al deragliamento della società.
Rispetto a “Nuevo orden”, racconto di un improvviso collasso della Capitale dietro moti rivoluzionari, qui in “Sundown” va in scena una storia quasi più intima, che deflagra nell’animo del protagonista. Neil/Roth è un uomo grigio, rassegnato, che abdica alla vita perché cova un dramma interiore. Attorno a lui vediamo scorrere il ritratto di una città messicana come Acapulco che va perdendo la sua bellezza e stabilità, minacciata da povertà e criminalità incalzanti.
Nell’insieme il film “Sundown” è un’istantanea dolorosa del nostro oggi, che combina dramma esistenziale con quello dell’intera società, realtà al crocevia di un cambiamento sbilanciato verso il baratro.
Sul film di Michel Franco ha sottolineato sempre Giraldi: “La figura di Neil Bennet è emblematica di una società che vive alla giornata, noncurante del suo domani e dei problemi gravosi in campo. La riluttanza dell’uomo occidentale, afflitto dai suoi demoni interiori, si traduce in un distaccamento superficiale verso il mondo sudamericano in forte affanno. Il cinema di Michel Franco, dalla forte carica politica e dal respiro disperante, predilige soluzioni visive seducenti e al contempo ermetiche, di non facile comprensione. In ‘Sundown’ il ricorso a un eccessivo alone enigmatico rischia di depotenziare la riuscita del racconto”. Film complesso, problematico e per dibattiti.
“The Card Counter”
Paul Schrader è un regista-sceneggiatore veterano a Hollywood, classe 1946, autore di oltre trenta film, di cui quattro con Martin Scorsese. A Venezia78 arriva in concorso con “The Card Counter”, potente racconto sugli Stati Uniti post 11 settembre, chiamati a fare i conti con gli abusi nelle prigioni militari come Guantanamo. La storia: William (Oscar Isaac) è un ex militare uscito di prigione che passa le sue giornate al tavolo verde, spostandosi di casinò in casinò. È un uomo vinto dalla vita, che tira a campare accontentandosi di piccole somme, respingendo amicizie e legami affettivi. L’incontro con il giovane Cirk (Tye Sheridan) e la misteriosa “imprenditrice” Linda (Tiffany Haddish) lo porteranno a uscire dalla sua zona grigia…
Sempre più di frequente Hollywood sta accompagnando la società statunitense a rielaborare il dramma dell’11 settembre 2001 – di cui quest’anno ricorrono i vent’anni – non solo per la tragedia e il trauma subiti,
ma anche attraverso un’accusa alle ingiustificate violenze commesse dai militari americani nelle prigioni di guerra; luoghi dove i diritti umani sono stati sospesi o calpestati.
Così dopo “The Report” (2019) e di “The Mauritanian” (2021), il film “The Card Counter” aggiunge un altro tassello al filone, ma con un tratto di originalità: il regista Schrader infatti ci racconta la condizione di un ex militare torturatore, che ha scontato la sua pena ma si tormenta ancora per i livelli di disumanità e violenza cui si è spinto. È un uomo senza più speranza, perché si sente ormai contaminato dal Male. L’incontro con un giovane ventenne gli ricorda la sua innocenza perduta, pertanto fa di tutto per sottrarre il ragazzo al suo stesso destino, attivando così un percorso di riscatto o forse di redenzione.
Su “The Card Counter” ha aggiunto Giraldi: “Lo stile di Paul Schrader è di forte impatto e funzionale nel descrivere al meglio le numerose fratture del popolo americano, da quelle legate a eventi traumatici come gli attacchi terroristici a quelle più sociali o esistenziali.
Schrader si conferma un regista solido e di grande incisività, che sa turbare lo spettatore svelando orrori e sensi di colpa, non rinunciando però a regalare anche timidi lampi di speranza”.
“The Card Counter” è complesso, problematico e per dibattiti.