Il Bob Dylan degli esordi in “A complete unknown”. In sala anche la commedia “10 giorni con i suoi”

Bob Dylan agli esordi negli anni ’60 è al centro del film “A complete unknown” di James Mangold, con Timothée Chalamet in una straordinaria mimesi fisica e canora. In sala anche la commedia italiana “10 giorni con i suoi” di Alessandro Genovesi, terzo capitolo sulle disavventure della famiglia Rovelli, con Fabio De Luigi e Valentina Lodovini, ambientata nella solarità della Puglia

Il Bob Dylan degli esordi in “A complete unknown”. In sala anche la commedia “10 giorni con i suoi”

“The answer, my friend, is blowin’ in the wind”. È il ritornello di uno dei brani più celebri di Bob Dylan composto nel 1962. L’inizio della sua carriera, nella stagione di sogni e fermenti sociali negli Stati Uniti sulla soglia degli anni ’60, è ora un film, “A complete unknown”, firmato dal regista James Mangold, già autore del bel biopic su Johnny Cash e June Carter “Walk the Line” (2005). A interpretarlo è Timothée Chalamet, che si mette in gioco in una riuscita mimesi fisica e una notevole performance canora. Nel cast anche Edward Norton e Monica Barbaro. Film acuto e godibile, che omaggia il cantautore-poeta in un’operazione divulgativa che convince, senza però eccessivi sussulti. In sala c’è anche la commedia italiana “10 giorni con i suoi” di Alessandro Genovesi, terzo capitolo sulle (dis)avventure della famiglia Rovelli con Fabio De Luigi e Valentina Lodovini. In una galleria di immagini da cartolina, nella solarità della terra pugliese, il copione funziona nella direzione della commedia semplice, un racconto brillante senza troppe pretese che strizza l’occhio a “Benvenuti al Sud”.

“A complete unknown” (Cinema, 23.01)
James Mangold, newyorkese classe 1963, è un regista-sceneggiatore di mestiere, che ha all’attivo una serie di film riusciti per stile e solidità di racconto: “Ragazze interrotte” (1999), “Quando l’amore brucia l’anima. Walk the Line” (2005), “Le Mans ’66” (2019) e “Indiana Jones e il quadrante del destino” (2023). Dopo il biopic su Johnny Cash e June Carter, Mangold torna a confrontarsi con un’altra figura chiave della scena musicale e culturale “a stelle e strisce”: il cantautore Bob Dylan, Nobel per la Letteratura nel 2016.

l biopic “A complete unknown” non ha però la pretesa del ritratto definitivo, bensì si concentra unicamente sul momento degli esordi, tra passioni folk e insofferenze agli steccati musicali.

Protagonisti Timothée Chalamet, Edward Norton, Monica Barbaro ed Elle Fanning.

La storia. New York, 1961. Un giovane diciannovenne originario del Minnesota, all’anagrafe Robert Zimmerman, ma ben presto Bob Dylan, si reca in ospedale per conoscere il cantante folk Woody Guthrie. Lì stringe amicizia anche con il cantautore Pete Seeger, che gli offre ospitalità in casa e lo introduce nell’ambiente musicale del Greenwich Village. Nel corso delle prime esibizioni conoscerà anche la cantante Joan Baez…

“Il mio compito – ha dichiarato il regista – è sempre stato quello di mettere in dubbio osservazioni ovvie. Non esiste una verità assoluta su Dylan. Abbiamo letto qualsiasi documento su di lui e molti autori si contraddicono. Invece di concentrarci sulla verità fattuale, abbiamo preferito soffermarci sui passaggi chiave, sulla realizzazione dei dischi, cercando di trovare il filo e il tono della verità”.
Mangold e il co-sceneggiatore Jay Cocks hanno scritto un copione efficace, che approfondisce il momento dell’avvio della carriera di Bob Dylan, con il suo arrivo a New York e nella scena della musical folk, intercettando anche la critica sociale giovanile e l’attivismo politico, per poi spiazzare tutti e cambiare passo dalla metà degli anni ’60.

Mangold tratteggia Dylan come un talento creativo, animato da irrequietezza e curiosità, insofferente alle regole.

Al centro del suo mondo c’è la musica, la sperimentazione, il desiderio di mordere la vita con intensità senza troppi ancoraggi (neanche a livello sentimentale): si lega all’attivista Sylvie Russo (nella realtà Suze Rotolo), ma contestualmente frequenta la collega Joan Baez. Dylan è uno spirito libero, interessato alla sua idea di musica e refrattario agli incasellamenti, alle categorie musicali.

Mangold, forte delle interpretazioni generose di Chalamet, Norton e Barbaro, costruisce un racconto avvolgente, sospinto anche da brani iconici come “Mr. Tambourine Man”, “Blowin’ in the Wind” e “Like a Rolling Stone”.

Nell’insieme, uno sguardo-suggestione sul mondo artistico di Dylan con richiami allo scenario politico, sociale e culturale del tempo; un modo per (ri)scoprire le origini del genio, senza tralasciarne fragilità e chiaroscuri. Mangold ha svolto un buon compito, valido e accurato, senza eccessi ma neppure guadagni memorabili. Un’opera che intercetta il favore del pubblico di ieri, che torna a canticchiare i brani di Dylan, e accende la curiosità in quello di oggi, pronto a scoprirne il vasto repertorio. Film consigliabile, problematico, per dibattiti.

“10 giorni con i suoi” (Cinema, 23.01)
Il regista-sceneggiatore milanese Alessandro Genovesi si è imposto negli ultimi quindici anni con titoli comici di richiamo, stringendo un sodalizio di ferro con Fabio De Luigi: tra i più noti “La peggior settimana della mia vita” (2011), “Soap opera” (2014) e “Ridatemi mia moglie” (2021). A questi si aggiunge il ciclo dedicato alla famiglia Rovelli: “10 giorni senza mamma” (2019) e “10 giorni con Babbo Natale” (2020). A distanza di alcuni anni Genovesi, insieme alla cordata Colorado Film, Medusa e Prime Video, ne firma un terzo episodio: “10 giorni con i suoi” (2025), coinvolgendo sempre Fabio De Luigi e Valentina Lodovini, cui si sono aggiunti Dino Abbrescia, Giulia Bevilacqua e Marcello Cesena.

La storia. La famiglia Rovelli, composta dai genitori Carlo e Giulia, dai tre figli Angelica, Tito e Bianca, si reca in Puglia per accompagnare la primogenita che si trasferisce lì per frequentare l’università e stare vicina al suo fidanzato. A ospitarli è la famiglia del ragazzo, i Paradiso…

“Tutta la saga – ha dichiarato il regista – è in qualche modo un esperimento sociale: siamo cresciuti nella realtà in parallelo ai personaggi di finzione, la famiglia Rovelli.

In questo nuovo film si affrontano tematiche diverse, complesse, sulla separazione dai figli che crescono e iniziano la loro vita ‘adulta’, sulla coppia che affronta cambiamenti e nuovi movimenti”.
“10 giorni con i suoi” corre agile sul binario della commedia semplice, che omaggia i modelli hollywoodiani alla “Ti presento i miei” (2000) ma anche i riusciti campioni di incasso italiani come “Benvenuti al Sud” (2010) o il francese “Giù al Nord” (2008). Al centro del racconto troviamo genitori che da un lato vedono i figli uscire dal nido per inseguire i propri sogni, e dall’altro sono richiamati a nuove responsabilità per gravidanze inattese. Questi temi, sulla carta densi e stratificati, vengono però diluiti in una narrazione a caccia più di risate che di riflessioni.La regia di Genovesi è al servizio di un copione brillante dall’andamento fin troppo prevedibile, ben sorretto comunque da attori dalla comicità rodata.

“10 giorni con i suoi” è un titolo d’evasione senza troppe pretese, che punta a unire grandi e piccoli con una comicità frizzante, accessibile, non volgare. Qua e là qualche inciampo gratuito o banalità, come la rappresentazione della Passione di Cristo con inutili sfumature comiche. Film consigliabile, semplice.

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Fonte: Sir