Betlemme: “Non lasciateci soli, vogliamo la pace”. La voce dei bambini tra muri e check-point
I bambini di Betlemme raccontano la loro quotidianità tra muri, check-point e restrizioni. Le lettere scritte a Papa Francesco e cartelli di accoglienza ai pellegrini esprimono il desiderio di pace. Suor Lucia Maule dell’istituto “Effetà” denuncia le difficoltà crescenti per gli studenti sordi a raggiungere la scuola, mentre la crisi economica e le tensioni in Cisgiordania aggravano la situazione. Nonostante tutto, la comunità cristiana continua a sperare in un futuro migliore
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(da Betlemme) “La mia città è chiusa da un muro, un lungo muro che si attorciglia intorno a noi, a volte ci sembra di soffocare, soprattutto quando chiudono le porte per uscire, che qui chiamiamo check-point… Da quando è scoppiata la guerra (del 7 ottobre 2023, ndr.) non abbiamo nessun permesso per uscire perché è proibito… Il nostro cielo è stato occupato dai missili, abbiamo tanta paura. A volte sento i discorsi dei grandi, dei bombardamenti di Gaza, dei bambini rimasti orfani e ho paura che possa accadere anche a noi. Che colpa abbiamo se siamo nati a Betlemme, a Gerusalemme, a Gaza? Noi vogliamo solo giocare, studiare e vivere liberi, come tanti altri bambini del mondo”: così il piccolo Victor, bambino cristiano cattolico di Betlemme, con una lettera si rivolgeva a Papa Francesco il 25 maggio dello scorso anno, durante la Giornata mondiale dei bambini, in uno stadio Olimpico affollato di bambini di ogni parte del mondo. Da allora sono trascorsi poco più di otto mesi e “le cose, nella città natale di Gesù, non sono affatto migliorate”, racconta al Sir Jack, greco-ortodosso, che trascorre parte del suo tempo ad allenare i bambini di una scuola calcio sostenuta dall’associazione milanese Oasi di pace, presieduta da Adriana Sigilli, in questi giorni in Terra Santa con un gruppo di pellegrini (laici, religiose e sacerdoti) delle diocesi di Milano, Trento, Brescia, Tortona, Piacenza e Novara. Un pellegrinaggio giubilare promosso “per portare speranza, vicinanza e solidarietà concreta alla comunità cristiana locale e pregare per la pace”.
Ad accogliere, in piazza della Mangiatoia, i pellegrini italiani sono stati proprio questi bambini, in tenuta da calcio, con cartelli che raccontano tutto il loro disagio: “Grazie per essere qui”, “Tornate sempre e state qui perché Betlemme è sola senza di voi”, “Non lasciateci soli” e soprattutto “Vogliamo la pace”.
Quest’ultimo messaggio ricalca il desiderio più grande contenuto in un’altra lettera, che dieci bambini hanno consegnato a Papa Francesco in apertura del Summit sui diritti dei bambini, tenutosi il 2 e 3 febbraio in Vaticano: “Non vogliamo vivere in un mondo con la guerra. La guerra non si deve fare, non serve a niente: distrugge, uccide e rende tutti più tristi, ma questo, ancora, certi grandi non lo sanno”. E continuano.
Così, mentre in una Gaza distrutta la tregua sembra tenere, in Cisgiordania la tensione cresce. Ieri due soldati israeliani sono morti per le ferite riportate in un attacco contro un check-point dell’esercito nei pressi di Tayasir, villaggio a est di Jenin, dove prosegue da due settimane l’operazione militare di Israele, “Muro di ferro”. Domenica scorsa l’esercito israeliano ha fatto esplodere 23 edifici nel locale campo profughi. Fatti che hanno provocato chiusure e ulteriori restrizioni ai movimenti dei palestinesi.
“È calato il sipario”. La situazione descritta da Victor a Papa Francesco continua ad avere il sapore amaro della realtà, come conferma al Sir suor Lucia Maule, che dal 1971 è impegnata nell’istituto “Effetà”, la scuola per la rieducazione audio-fonetica voluta da Papa Paolo VI dopo il suo viaggio in Terra Santa nel 1964. Suor Lucia, con alle spalle una specializzazione per l’insegnamento ai ragazzi sordi, appartiene alla congregazione delle Suore maestre di santa Dorotea figlie dei sacri Cuori (di Vicenza), ed è una delle tre religiose che diedero il via, nel 1971, a “Effetà” che, spiega, “è la parola pronunciata da Gesù per guarire un sordomuto”. “La nostra scuola – racconta – è attualmente frequentata da circa 200 alunni (dai tre anni sino alla maturità), in larghissima maggioranza musulmani. Ce ne sono 14 ospitati, dal lunedì al venerdì, nella foresteria. Arrivano nella nostra scuola sin dalla più tenera età, in genere quando i genitori si accorgono della loro disabilità. Per questo li portano nella nostra scuola perché possano essere accompagnati nella crescita e aiutati a sviluppare le loro capacità di comprensione attraverso la lettura labio-orale e di comunicazione e attraverso le protesi. Con noi lavorano anche una cinquantina di maestre”. Purtroppo, arrivare a scuola è, ogni giorno, più difficile: “I nostri alunni vengono da Hebron e dai villaggi intorno a Betlemme, come Beit Jala e Beit Sahour, e devono attraversare i check-point israeliani e sottoporsi ai relativi controlli di documenti dopo snervanti attese. Fino a qualche tempo fa venivano bambini anche da Nablus, Jenin, Ramallah, ma oggi non possono più a causa delle restrizioni israeliane”. Nella speranza di favorire il loro passaggio ai check-point, le suore hanno, da ieri, dotato i bambini di un badge di riconoscimento che attesta che sono alunni dell’istituto “Effetà”. “I prossimi giorni ci diranno se la cosa funziona o no. Sono bambini e ragazzi sordomuti, che hanno già una vita difficile”.
“Solo a scuola, dove si sentono protetti e liberi, riescono a sorridere”.
Ma è una felicità momentanea perché, racconta suor Lucia, “una volta tornati a casa, in famiglia, questi bambini tornano a respirare quei sentimenti di scoramento, di incertezza e di insicurezza, esplosi dopo il 7 ottobre 2023. Ci sono bambini che sono stati testimoni diretti delle irruzioni dei soldati israeliani nelle loro case di notte, con i cani, per perquisire e cercare qualcuno da arrestare”. Inoltre, dopo l’attacco terroristico di Hamas, Israele ha revocato i permessi di lavoro per i tanti palestinesi che da questa zona si recavano a Gerusalemme per lavorare. “Oggi tantissime famiglie non hanno nessun tipo di sostentamento, la povertà è diffusa. Betlemme fa una tristezza infinita: strade deserte, negozi e alberghi chiusi, un’economia al collasso per mancanza di pellegrini. Oggi è finito tutto, è calato il sipario” dice la religiosa, che però non perde la speranza: “Noi preghiamo con tutto il cuore che si possa arrivare alla pace e che i bambini di Betlemme possano godere di un futuro dignitoso”.
La porta di Effetà. “Da parte nostra – ribadisce – continuiamo a offrire un servizio formativo ed educativo a questi bambini e alle loro famiglie. San Paolo VI volle costruire questa scuola per rendere migliore la vita di questi piccoli. Dare loro speranza, questa è la nostra missione”. Un impegno che si rinnova in questo anno giubilare dedicato proprio alla speranza. “Lo sanno bene – conclude – i tanti bambini che hanno ‘varcato’ la porta di questo istituto uscendone rafforzati nella loro dignità, intelligenza e formazione. Molti di loro oggi hanno trovato un lavoro, hanno messo su una famiglia, sono riusciti nella vita. Le barriere e gli ostacoli, certamente, non sono finiti, ma vanno avanti con speranza e pazienza”. Effetà: una vera e propria ‘porta vivente’, posta tra muri e check-point che circondano la città natale di Gesù.