Senza i sogni, che senso ha il futuro? L'anima dei volontari
Raccontare il volontariato, signori si cambia. Con il 2025 il Centro Servizio Volontariato di Padova e Rovigo ha scelto di lasciare sullo sfondo le storie dei volontari e delle associazioni e di raccontare il valore del volontariato attraverso alcune parole chiave che ne sono l’architettura.
La prima di queste parole a essere approfondita è “sogno” declinato come l’origine necessaria per trasformare le visioni in realtà. Partendo dall’esperienza di chi ha indagato o agito il volontariato, ragionare su una parola significa dare visione a un’azione che sì, vuole il bene della collettività, ma anche dare strumenti utili a leggere il presente e progettare il futuro. Alla declinazione si aggiunge la voce di chi si sporca le mani nel fare, perché lì sta il “sale della vita”, il senso di ciò che un volontario regala al mondo. E questo non lo si fa da soli ma insieme, sognando e realizzando.
Da “I have a dream” a “I care”
«Abbiate un sogno. Abbiate un bel sogno. Seguite soltanto un sogno. Il sogno di tutta la vita. La vita umana che ha un sogno è lieta. Una vita che segue un sogno si rinnova di giorno in giorno. La vita umana che sembra lunga è corta. Sia il vostro un sogno che miri a rendere liete non soltanto tutte le persone, ma anche i loro discendenti. È bello sognare di rendere felice tutta l’umanità. Non è impossibile». Rispondeva così padre Ezechiele Ramin in una lettera agli alunni di una scuola pugliese, parole che scavano nel profondo, che danno un senso all’agire del volontario. Lo ribadisce anche Chiara Tommasini, presidente CsvNet: «Abbiamo un sogno comune: il volontariato che trasforma la società. Per diventare realtà ha bisogno di un gruppo che metta insieme le energie per trasformarle in azione e attivare il desiderio che ci spinge a guardare oltre il presente e immaginare il futuro». Una vita senza sogni è una vita senza desideri o passioni e anche per questo il mondo – anche quello del volontariato – non può farne a meno: «Sul sogno due affermazioni: “I have e dream” di Martin Luther King e “I care” di don Lorenzo Milani – spiega Stefano Tinazzo, vicepresidente della Consulta del volontariato di Padova e tra i “fondatori” del Centro servizio volontariato nel 2002 – Martin Luther King sognava una società giusta, un mondo in cui i diritti e la dignità delle persone fossero rispettati e don Lorenzo Milani sognava, invitava a prendere a cuore le persone, a sentirsi responsabili gli uni degli altri, soprattutto a farsi carico delle persone indifese. Io coniugo questi due motti nel sogno perché il volontario è un po’ questo: da una parte deve avere a cuore il sogno di una giustizia, della dignità delle persone, soprattutto delle più fragili, e dall’altra c’è il sentirsi responsabili, il farsi carico delle persone». Un po’ come afferma Luca Lendaro di Refugees Welcome Padova: «Per un volontario il sogno è in primo luogo quello che si fa a occhi aperti, mentre ci si impegna a realizzarlo, immaginando un mondo e una società senza sofferenze e ingiustizie. Un sogno che muove, quindi. E poi, in secondo luogo, il sogno è l’incredulità di fronte a ciò che si è realizzato, alle trasformazioni prodotte, al bene generato collettivamente. Un sogno che commuove».
Un impegno costante, ma leggero
Ma i sogni per realizzarsi hanno bisogno di strumenti e per questo, continua Tinazzo, «il volontariato dovrebbe sempre di più ispirarsi alla Carta dei valori del volontariato come un cittadino deve ispirarsi alla Costituzione, direi che il principio del volontario, di chi vuole formarsi alla scuola del volontariato, di chi vuole incarnare il pensiero di Martin Luther King e di don Lorenzo Milani, deve prendere il mano questa Carta perché ci dice che mettersi a disposizione dell’altro deve diventare gradualmente uno stile di vita. Il fulcro dell’essere volontario sta nella relazione tra sogno e desiderio, cioè nella responsabilità e nell’incontro, e il volontariato vuole costruire ponti e non muri, alimentando la speranza nel futuro». Se il volontariato perde questa spinta, è il monito di Tinazzo, muore perché è necessario andare oltre, generare speranza anche per le generazioni future: «Il papa in questo Giubileo di speranza ci ricorda che siamo pellegrini di speranza e questo ci interpella come volontariato. Una sollecitazione importante ci viene anche da don Luigi Ciotti quando sostiene che essere membri di una comunità civile ci porta a essere dei volontari, ma se continueranno a sussistere, da un lato i volontari della carità e dall’altro gli indifferenti del quotidiano ne usciremo tutti sconfitti. In un mondo ideale se ci sentissimo davvero dei cittadini solidali non ci sarebbe bisogno del volontariato perché questi valori sarebbero assunti nelle scelte ordinarie di ogni giorno da tutti. Questo è il sogno. Il volontario dev’essere generativo e sempre citando papa Francesco, ricordiamoci che “un giovane che è capace di sognare diventa maestro con la testimonianza, perché la testimonianza muove i cuori”. Ecco, il volontario dev’essere una persona che con passione sa essere testimone». Lo sottolinea Giorgio Ortolani, presidente del Csv per 13 anni e per venti della Croce Verde di Padova: «Il sogno di un volontario è vedere realizzato l’impegno che ha messo nel far felice qualcuno. Non riesci a salvare il mondo, a cambiare le istituzioni, a ottenere che tutti facciano qualcosa per gli altri e allora quando riesci a fare quello che hai in mente anche per una sola persona, hai realizzato il tuo sogno». E lo pensa Jolanda Gentile, presidente dell’associazione Vada Civitas Vitae: «Se hai deciso di fare qualcosa per gli altri devi capire che l’impegno dev’essere costante e leggero perché fare del bene significa non farsene accorgere, però devi arrivare allo scopo e la verifica ce l’hai quando si illuminano gli occhi di una persona. Dunque il sogno per un volontario è quello di continuare a svolgere la sua attività in questo modo e soprattutto di poter contagiare tante persone in modo da fare una società bella, accogliente e disponibile l’un per l’altro». E come scrive Vincent Van Gogh al fratello Theo: «Prima sogno i miei dipinti e poi dipingo i miei sogni».
Riforma che dà concretezza al sogno
Nel 2014 con a pubblicazione delle linee guida da parte del Governo Renzi ha preso il via la riforma del Terzo settore. Sono passati dieci anni e il costituzionalista Luca Gori, docente della scuola superiore Sant’Anna di Pisa e coordinatore del Centro di ricerca “Maria Eletta Martini”, su CsvNet commenta: «In dieci anni, si sono alternati, a livello nazionale, molti governi, sostenuti da formule politiche differenti. Non è un elemento trascurabile per esprimere un giudizio. C’è un elemento che forse si può dire acquisito: l’importanza, per ogni agenda politica, del ruolo del Terzo settore, al punto da divenire quasi un tema su cui si registra un consenso trasversale. In questo senso, la riforma – consentendo di chiamare per nome il “Terzo settore” anche dal punto di vista normativo – ha giocato un ruolo importante. Rimane, invece, una difficoltà nel declinare operativamente quel ruolo “politicamente” riconosciuto, all’interno delle diverse policies». In altri termini, sostiene Luca Gori, si potrebbe dire che si fatica a comprendere che «il Terzo settore non è semplicemente un capitolo delle politiche sociali o un punto di una riforma fiscale, ma è, complessivamente, un metodo di costruzione di politiche pubbliche innovative che si fonda sull’attivazione collettiva e libera delle persone in forme che l’ordinamento ritiene meritevoli». «La riforma del Terzo settore – conclude il costituzionalista – è stata una grande occasione di bilancio e di sistemazione della legislazione. Quasi ogni aspetto è andato al suo posto, con maggiore o minore difficoltà. Ma un certo fermento innovativo sta andando avanti sul versante delle forme giuridiche (sempre più liquide), delle attività svolte, delle forme di coinvolgimento delle persone. Ecco che il prossimo decennio, proprio a partire da questo bilancio, offrirà nuove frontiere da varcare sul versante di come le comunità interpretano le loro libertà sociali».