Tre donne attorno alla verità. Un dialogo sulla narrazione della pandemia e della guerra
La pandemia, la guerra, la strage in una scuola esigono coraggio perché non si voltino pagine che inquietano ma si leggano con l’inquietudine dei cercatori della verità.
“Non amo lo scontro, penso che per esprimere un pensiero ci voglia tempo, mi interessa ascoltare e vedo che c’è un numero crescente di persone che torna ad apprezzare la pacatezza, il dubbio, il confronto”,
Dopo pagine che raccontano della guerra, anzi di una sola guerra, e della strage di innocenti in una scuola statunitense due giornaliste, Caterina Soffici e Concita De Gregorio dialogano sulla verità in rapporto con la narrazione giornalistica.
Due pagine su un quotidiano nazionale della scorsa settimana vengono dedicate a questo colloquio che si pone come pausa di riflessione in mezzo alla cronaca e ai commenti. Non per contrapporsi ma per proporre un pensiero che aiuti a non confondere l’informazione che chiede attenzione e con l’intrattenimento che offre digressione.
Dopo l’osservazione iniziale di Concita di Gregorio è Caterina Soffici a dire, premettendo che la verità è la prima vittima della guerra, che “un minimo comune denominatore della narrazione serve per capire ciò che accade, per spiegare le cose che ci circondano”.
Una deontologia giornalistica rispettata e un discernimento praticato dall’opinione pubblica sono la via per arrivare al minimo comun denominatore del narrare e dell’ascoltare.
C’è un’etica della responsabilità per entrambe le parti, c’è per entrambe l’appello ad ascoltare, a conoscere, ad approfondire per essere credibili a sé stessi e agli altri.
Ci vuole coraggio per entrambe e Concita De Gregorio dice: “Il coraggio si chiama così così quando costa e non quando rende qualcosa in cambio. La verità costa tantissimo” ed è “un’esperienza che possiamo fare, nel nostro piccolo tentarla. Certo bisogna rompersi, rischiare”. Magari alternando al telecomando un libro, un giornale, un silenzio.
La pandemia, la guerra, la strage in una scuola esigono questo coraggio perché non si voltino pagine che inquietano ma si leggano con l’inquietudine dei cercatori della verità.
E questione di attenzione ed è un’altra donna, la poetessa Mariangela Guarnieri, a scrivere che “l’aristocrazia degli attenti è l’unica a cui appartenere”.
Le persone attente scelgono strade di formazione e autoformazione che sono sempre meno concesse da poteri che temono coloro che pensano. È tempo di accettare e di vincere la loro sfida con la fatica del conoscere, del discernere, dell’essere. Ci vuole coraggio, un coraggio intellettuale, perché questa fatica che spesso viene fatta passare come una fatica inutile è l’unica che motiva e sostiene la lotta contro la parzialità, la mediocrità, la menzogna. A ricordarlo su un giornale sono tre donne.