Non c’è distanza. La pandemia, la tragedia del popolo Rohingya, il Natale
Il mistero della nascita di un bimbo tra i pastori di Betlemme si riverbera sulla sofferenza dell’uomo che è in un ospedale e dell’uomo deportato su un’isola che non c’è.
Nel buio della pandemia non è facile alzare gli occhi e pensare alle altre sofferenze che stanno attraversando il mondo. Anche i media, presi dal virus, faticano a raccontarle. Sembra calare il sipario sui molti teatri della violenza, della violazione di diritti umani, delle morti innocenti.
C’è da preoccuparsi per quanto sta accadendo negli ospedali, nelle terapie intensive, nelle strutture per anziani, nell’economia e nel lavoro: come può esserci tempo per alzare la testa e guardare anche fuori?
E’ tornato, ad esempio, in questi giorni il racconto della tragedia dei Rohingya in Myanmar (Birmania). Il silenzio è sceso su una minoranza di fede musulmana perseguitata e ammassata nei campi profughi del Bangladesh. Si tratta di 728.000 persone molti i bambini. Già 1.600 sono state deportate sull’isola Bhasan Char, un’isola artificiale costruita con i detriti di un fiume, un’isola nata dal nulla, un’isola che non c’è. Il progetto è di portarvi 100.000 Rohingya entro il prossimo mese di maggio. Verranno accolti in una prigione a cielo aperto camuffata da nobili intenti umanitari mentre la libertà e la dignità umana saranno fortemente condizionate. Ancora una volta di fronte ai poteri locali si è rivelata l’impotenza degli organismi internazionali.
Ma perché parlare di questo popolo, come di molti altri, mentre nel nostro Paese si vive di incertezza, di disorientamento, di paura? Perché leggere notizie e servizi giornalistici che deprimono ancor più quanti già sono a rischio depressione?
Forse non ha alcun senso leggere i racconti del dolore del mondo. Forse ha un senso perché conoscere le sofferenze vissute in tante case consente di vivere in modo diverso quelle vissute in casa propria. Questo dolore cosmico è difficile da comprendere ma ignorarlo o rimanere indifferenti sarebbe ancor peggio, non ridurrebbe la paura e non aiuterebbe la speranza.
Nell’incrociarsi delle sofferenze si accendono o si spengono la luce della ragione e la luce della fede. Ci si scopre infinitamente deboli e piccoli di fronte alla prova nonostante le confortanti risposte della scienza e della tecnologia.
Sull’orizzonte di questo scenario si profila il Natale, con il suo silenzio, la sua umiltà, la sua fragilità.
Un Natale libero da polemiche e strumentalizzazioni insensate.
Il mistero della nascita di un bimbo tra i pastori di Betlemme si riverbera sulla sofferenza dell’uomo che è in un ospedale e dell’uomo deportato su un’isola che non c’è.
E’ Natale a dire che non c’è distanza tra l’uno e l’altro. Nessuna pagina che racconta la vita deve essere voltata.