Don Alfredo Contran. Il ricordo di Tino Bedin: il lettore prima di tutto

Quando diventa vescovo di Padova, nella primavera del 1982, mons. Filippo Franceschi è già un protagonista nazionale del dialogo tra fede e cultura. Nel numero di domenica 21 marzo il direttore del settimanale diocesano gli presenta la sua nuova comunità con una “lettera aperta”, in cui non c’è però neanche una riga sull’Università di Padova.

Don Alfredo Contran. Il ricordo di Tino Bedin: il lettore prima di tutto

Don Alfredo Contran conosce da tempo mons. Franceschi e infatti lo chiama «caro vescovo» e non sua eccellenza, «poiché pure lei è giornalista». Non è quindi insufficiente conoscenza. Non è neppure dimenticanza, visto che il vocabolo “Università” si legge in quella lettera aperta. Scrive all’arcivescovo: «Persone di buona volontà in Diocesi ne troverà quante ne vuole. I laureati all’Università della Pentecoste sono tanti anche nelle parrocchie più piccole. Poveri, umili, sereni, impegnati, desiderosi di collaborare». Costituiscono il “Popolo” che completa la testata della Difesa fin dalla fondazione nel 1908. Don Contran lo presenta a mons. Franceschi non solo e non tanto perché se ne faccia carico, ma soprattutto perché lo valorizzi, gli dia la parola. Cronista instancabile della “piantagione conciliare” nelle parrocchie, don Alfredo Contran aveva ben chiaro il posto del popolo di Dio nella Chiesa del Vaticano II: la sua centralità non è solo Dottrina (annunciata dalla costituzione conciliare Lumen gentium); è anche evangelizzazione, liturgia, pastorale, architettura religiosa. È anche comunicazione. Fornire le parole e dare così la parola al popolo di Dio doveva essere la funzione essenziale di ogni giornalista della Difesa, nella visione di don Contran fin dall’inizio della sua lunga esperienza al settimanale diocesano. Tra il 1962 e il 1965 egli aveva interpretato il compito di vice direttore della Difesa accanto a mons. Francesco Canella come il tempo non solo della personale formazione giornalistica, ma anche della costruzione di una redazione. Quei suoi primi “giornalisti” (per intanto studenti universitari) venivano quasi tutti dal liceo classico, dove erano stati suoi allievi di religione: buona padronanza della lingua, conoscenza della sintassi, studio del periodo, letture di italiano e di latino. L’obbligo imposto loro da don Alfredo Contran era quello di utilizzare queste capacità per essere chiari e non per essere dotti. Dovevano farsi capire da tutti: non con uno stile trasandato o con la povertà del vocabolario, ma con la chiarezza del periodare latino. Il popolo, quello della quinta elementare, o anche della quarta o della seconda elementare, aveva il diritto di leggere la Difesa dalla prima all’ultima pagina, di capire le parole, e di sentirsi importante perché così entrava in un circolo di conoscenze più vasto rispetto alla piazza del paese; e di questo circolo doveva essere componente, non ospite. Prima del giornalista viene il lettore, il suo diritto di capire quello che legge, per decidere cosa farsene. Lo ha sempre preteso. Per parte sua, l’ha praticato settimana dopo settimana negli editoriali. Si era dato la “Regola del primo lettore”: se il primo che legge il tuo articolo ti manifesta dubbi sulla chiarezza di una parola o di una frase, cambiala subito, senza difenderla, anche se credi di avere ragione. Nella suddivisione dei compiti nella redazione della Difesa quasi sempre il “primo lettore” era il giornalista che metteva in pagina l’articolo di don Contran. Fare osservazione al direttore, pur su sua precisa e reiterata richiesta, non era propriamente agevole; però educava: a leggere bene (per essere sicuri dell’osservazione) e a scrivere bene (per sapere come cambiare).

Tino Bedin
già senatore e vicedirettore della Difesa

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