Diplomazia esterna e lealtà interna. Nota politica
La via diplomatica alla pace richiede sempre “sforzi creativi”, per citare ancora il presidente della Repubblica.
Con il piano di pace presentato al segretario generale dell’Onu, l’Italia ha dato il segnale di un più intenso ed esplicito impegno a livello diplomatico nel conflitto provocato dall’invasione russa dell’Ucraina. Un “cessate il fuoco” il prima possibile e l’avvio tempestivo di negoziati sono stati evidenziati come elementi caratterizzanti della posizione italiana nel corso dell’informativa al Parlamento del presidente del Consiglio, insieme all’annuncio di un prossimo incontro bilaterale con uno dei soggetti-chiave della regione, la Turchia. Il primo dopo dieci anni, ha precisato Mario Draghi a sottolineare l’eccezionalità dell’appuntamento. Che qualcosa si stesse muovendo era emerso già nella visita del premier a Washington. Del resto è stato lo stesso capo dello Stato, in un discorso all’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, a gettare con lucidità e ampiezza di visione lo sguardo sul “dopo”. Perché la guerra non può essere mai un fine ed è la pace l’unico obiettivo ragionevole e desiderabile sotto ogni cielo.
“Distensione: per interrompere le ostilità. Ripudio della guerra: per tornare allo statu quo ante. Coesistenza pacifica, tra i popoli e tra gli Stati. Democrazia come condizione per il rispetto della dignità di ciascuno. Infine, Helsinki e non Jalta: dialogo, non prove di forza tra grandi potenze che devono comprendere di essere sempre meno tali”: questo il percorso indicato da Mattarella con parole scelte non a caso dal vocabolario di una stagione che, in piena guerra fredda, vide comporsi un quadro multilaterale ispirato a criteri di sicurezza e cooperazione, grazie alla conferenza che si svolse nella capitale finlandese e a quel celebre “atto finale” che fu “foriero di sviluppi positivi”.
Che oggi proprio Helsinki abbia chiesto di aderire alla Nato dà la misura di quanto sia grave la situazione che si è determinata a livello globale. Ma anche negli anni Settanta sembrava utopica l’idea di trovare uno sbocco positivo a una contrapposizione dalle conseguenze potenzialmente disastrose per l’umanità. La via diplomatica alla pace richiede sempre “sforzi creativi”, per citare ancora il presidente della Repubblica. E’ una via che, nel dopoguerra, ha visto storicamente in prima linea il nostro Paese, saldamente ancorato alla sua rete di alleanze e allo stesso tempo punta avanzata dei processi negoziali in Europa e non solo. Per poter svolgere questo ruolo anche oggi è però necessario essere credibili e superare le ambiguità che condizionano pesantemente il nostro dibattito interno. Allo stesso tempo non possiamo stare con efficacia sulla scena internazionale se il governo viene sfibrato dalle polemiche quotidiane all’interno della sua stessa maggioranza. Il che ovviamente non implica la rinuncia al ruolo proprio dei partiti in una democrazia pluralista, ruolo che è anche di stimolo e di critica, ma richiede un impegno leale che tenga l’esecutivo al riparo dalle convulsioni ideologiche della campagna elettorale permanente.