Carità e impegno civile. Il ricordo di mons. Giovanni Nervo e mons. Giuseppe Benvegnù Pasini. Testimoni e profeti di nuova socialità
A mons. Giovanni Nervo e a mons. Giuseppe Benvegnù Pasini è stato dedicato il secondo degli incontri culturali al centro Franceschi, promossi dalle Fondazioni Zancan e Lanza, insieme alla Difesa
Confesso la mia difficoltà interiore. Gli eventi che stiamo vivendo (la guerra in Ucraina e le ripercussioni mondiali a tutti i livelli) fanno sorgere una domanda insistente: che cosa avrebbero pensato, detto e fatto Nervo e Pasini?
Ovviamente per rispondere a queste domande possiamo solo cercare nell’enorme patrimonio di riflessioni, scritti, attività che essi hanno vissuto. La prima è la prospettiva del no, del non essere d’accordo. Don Giovanni, nel testo Dio Padre e voi tutti fratelli edito da Edb nel 1999, parla addirittura del “mistero del male”. «Noi ci troviamo di fronte al mistero del male nel mondo. Dico mistero, perché tutte le creature non dotate di ragione rispondono perfettamente al progetto di Dio. L’uomo, capace di conoscere il progetto di Dio per la sua vita e di collaborare attivamente a realizzarlo, cade in una quantità enorme di drammatiche contraddizioni e contrappone al progetto di Dio i suoi progetti, condannandosi, già in questa vita al fallimento e all’infelicità. È il mistero del male del mondo che non possiamo ignorare e andare avanti come se non ci fosse, perché può coinvolgere anche noi e comunque produce sofferenze e infelicità: il male personale e quello collettivo».
Emblema di tutti i mali è la guerra; e questa, sempre, in tutte le sue espressioni nasce dall’ingiustizia, dalla prepotenza del potere, dalla povertà indotta da sistemi economici, ma anche da culture devianti, da impostazioni sociali non democratiche ma dittatoriali. «Oggi la portata e l’orrore della guerra moderna – continua mons. Nervo dopo aver fatto riferimento all’enciclica di papa Giovanni XXIII Pacem in terris – sia essa nucleare o convenzionale, rendono questa guerra totalmente inaccettabile come mezzo per comporre dispute e vertenze tra nazioni… In questo momento l’umanità deve interrogarsi una volta di più sull’assurdo e sempre ingiusto fenomeno della guerra, nel cui scenario di morte e di dolore resta soltanto in piedi il tavolo del negoziato che può e deve evitarla » (cfr L’alfabeto della carità, pp. 214).
La seconda prospettiva, quella del sì, è espressa in modo compiuto nella scelta preferenziale dei poveri. Questa preferenza – spiega Nervo – indica non tanto una quantità maggiore di amore quanto una precedenza: si deve cominciare dai poveri, cioè dalle persone che si trovano a essere private di qualcosa che spetta loro come persone. Mons. Nervo viaggiò in tutta Italia, incontrò i vescovi per favorire la nascita della Caritas diocesana, organismo per educare alla carità, perché tutti fossero responsabili di tutti. Lo sguardo ai poveri e alle povertà porterà da subito a coniugare carità e giustizia e ancor di più spiritualità e politica non solo nella chiesa ma anche nella società. Frutto maturo di questo impegno per la formazione sociale e politica è il volume del 2010 Formazione politica.
Appunti per una formazione sociale e politica dove mons. Nervo presenta e analizza una serie di temi di grande attualità pe la formazione dei giovani che potranno costituire la nuova classe politica: i cristiani e l’impegno politico, il bene comune, la giustificazione della politica, il rapporto tra politica, moralità e legalità, le radici cristiane della politica nella Rerum novarum e nella Centesimus annus, la laicità dello stato, l’etica pubblica. Credo che su questa linea della scelta preferenziale dei poveri si possa cogliere la direzione profetica perseguita e indicata da Nervo e da Pasini. Pasini parla del «volto politico della carità». Individuate le due facce della visione, della formazione e dell’opera di Nervo, possiamo ora, anche individuare alcune tappe di maturazione di questo no (alla guerra, alla discriminazione, alla povertà, alla discriminazione, alla politica e all’economia dello sfruttamento, alla cultura della disuguaglianza) e di questo grande sì, progettuale dei due padri fondatori. Don Giovanni Nervo nel 1944 era giovane prete al Barbarigo di Padova, punto di incontro per giovani che preparavano il dopo guerra. Non si fa fatica a scorgere da questa esperienza la passione di don Nervo e don Pasini per la Costituzione italiana.
Vangelo e Costituzione camminano sempre insieme nella formazione del cristiano cittadino. È la dimensione civile del loro pensiero e delle loro opere, della loro testimonianza e della loro profezia. Una seconda esperienza di Nervo è stata certamente quella dell’Onarmo (Opera nazionale assistenza religiosa e morale agli operai) e della Scuola superiore di servizio sociale a Padova. Non era solo una scuola, ma un vero laboratorio di idee, di iniziatine, di esperienze formative che persone che l’hanno vissuta ricordano ancora. Dall’esperienza dell’Onarmo e dalla scuola superiore di servizio sociale nascerà poi la Fondazione Zancan e così continuò e si realizzò il sogno culturale che per don Giovanni, e poi per don Giuseppe era così importante per la formazione, la cultura, la presenza e l’interlocuzione con la cultura accademica e con le istituzioni civili. La carità ha bisogno di formazione e la formazione ha bisogno di cultura e la cultura ha bisogno di strumenti operativi. È quella che possiamo considerare la dimensione culturale del pensiero e delle opere di mons. Nervo della sua testimonianza e della sua profezia. La terza tappa è una specie di provocazione che don Giovanni fece alla teologia con l’aiuto di mons. Luigi Sartori, allora presidente dell’Ati (Associazione teologi italiani) chiedendo e proponendo uno studio sistematico del fondamento teologico della carità. Stranamente non era mai stato fatto. La carenza della dimensione teologica impoveriva o non dava sufficiente spessore al cammino della Caritas e, d’altra parte, lasciava la teologia come sospesa nell’ambito del sapere o dello spiritualismo. Il primo effetto di questo lavoro è stato per tutti la constatazione e la sorpresa che la carità non è un capitolo né un tema della fede e dell’esperienza cristiana, bensì una dimensione costitutiva della fede, della chiesa, della storia e anche di tutte le specializzazioni della scienza teologica. La quarta tappa è stata certamente, per don Giovanni Nervo, anche la sua esperienza di pastorale diretta, come parroco a Santa Sofia in Padova. E infine l’esperienza maggiore: l’avvio della Caritas, secondo le indicazioni di Paolo VI.
Due raccolte degli scritti più significativi
La Fondazione Zancan ha dedicato a mons. Giovanni Nervo e a mons. Giuseppe Benvegnù Pasini due monografie con le raccolte di alcuni loro scritti. Sul sito della Difesa è possibile scaricare gli interi documenti in pdf.
L’incontro del 28 sulle comunità energetiche
Il terzo degli incontri culturali al centro Franceschi si terrà lunedì 28 marzo a partire dalle 17.30 fino alle 19 e sarà incentrato su “Le comunità energetiche: dal Pnrr risorse per percorsi di ecologia integrale”. Intervengono: Giovanni Carrosio, Università di Trieste, Sara Capuzzo, Cooperativa energetica È nostra. Considerazioni di Daniela Luise, coordinamento italiano Agende21 locali, suor Francesca Fiorese, Ufficio per la Pastorale sociale e il lavoro. Modera Matteo Mascia.
Tocca a noi riparare alla rovina diventando artigiani della pace
Che cosa avrebbero detto e fatto Nervo e Pasini nella situazione che stiamo vivendo, e quali iniziative avrebbero messo in atto per un futuro accettabile e vivibile? Trovo elementi di risposta nell’enciclica Fratelli tutti di papa Francesco del 2020. Li chiamo “Ingredienti per una nuova socialità”. È impressionante quanto ha scritto papa Francesco due anni fa: parla di «ombre di un mondo chiuso», di «sogni che vanno in frantumi». Segue i passaggi metodologici del discernimento, come li aveva presentati nella sua Evangelii gaudium: riconoscere, interpretare e scegliere. Mons. Giovanni Nervo e mons. Giuseppe Pasini testimoniano che tutto questo non è utopia, ma realtà già sperimentata, collaudata, da continuare, consolidare e allargare. Ora «tocca a noi – sembrano ripetere oggi, come dicevano nel ’44 – di riparare all’immensa rovina e mostrarci degni dei nostri padri, facendo il possibile per non lasciarci ingannare ancora una volta dal primo venuto che faccia la voce grossa; in verità il secondo male sarebbe peggiore del primo»; noi possiamo e dobbiamo dire «se ci sarà un ulteriore male! Tocca a noi, ciascuno al suo posto e con le proprie responsabilità sociali cominciare a “costruire” la pace, a costruire una democrazia non formale, a costruire il dialogo e il confronto, l’accoglienza e il diritto delle persone e dei popoli, come anche del creato». Non è più tempo di auspicare, di invocare che altri facciano qualcosa; neppure di solo pregare il Padre di tutti. È tempo di dire tanti no, di schierarsi contro; e di dire tanti sì, schierandosi a favore e diventare «veri architetti e artigiani» di pace, come afferma papa Francesco. Mi pare che sia questo ciò che oggi i due padri fondatori della Caritas ci dicono e ci consegnano. La loro testimonianza e la loro profezia.
Paolo Doni
membro del Comitato Scientifico Premio nazionale della Teologia della Carità