Riaprirsi al mondo. È ora di tornare a esporsi: al panico e al contagio, ma anche di nuovo alla relazione “fisica” con l'altro
Sarà bene dedicare del tempo in questi giorni anche alle “istruzioni per l'uso” relative alla Fase 2.
Siamo tutti in attesa di ricominciare senza avere certezze rispetto al domani.
Le settimane di clausura sono state lunghissime per certi versi, ma il tempo ha questa strana capacità di essere multidimensionale in determinate occasioni. Quindi ne abbiamo sfruttato la durata per dedicarci a svariate attività che ci hanno tenuti impegnati anche fisicamente; poi abbiamo destinato del tempo all’approfondimento interiore. Questo impiegare il tempo lo ha fatto anche scorrere in maniera ragionevole e ora ci ritroviamo pronti e desiderosi di iniziare la cosiddetta Fase 2. I rischi restano molti e anche le incertezze, ma abbiamo voglia di misurarci con la realtà trasformata che fuori ci attende e, perché no!, con l’edizione postpandemica di noi stessi.
Uscire fuori significa tornare a esporsi. Prima di tutto al panico e al contagio, ma anche esporsi di nuovo alla relazione “fisica” con l’altro.
I nostri ragazzi si sono organizzati nel corso di queste settimane e hanno comunicato per mezzo della tecnologia, sperimentando la nostalgia per quel genere di calore che sa trasmetterci un sorriso, o per certi odori, o sensazioni tattili che possono essere avvertiti soltanto in presenza.
In un certo senso ci siamo purificati e abbiamo resettato le nostre modalità di contatto. Certo la riapertura delle frontiere della comunicazione in presenza e dell’incontro saranno filtrate dai cosiddetti “dispositivi”: mascherina e guanti. E dovremo fare ai nostri ragazzi molte raccomandazioni al riguardo, perché il rischio di tornare al picco del contagio è piuttosto elevato. Sarà bene dedicare del tempo, quindi, in questi giorni anche alle “istruzioni per l’uso” relative alla Fase 2. Tra i giovani, naturale (e sana, fino a un paio di mesi fa) è la tendenza all’“assembramento”. Quindi bisognerà spiegare nel dettaglio cosa sarà possibile fare (o non fare) nello spazio che ci attende lì fuori.
Usciamo, però, dai nostri “ripostigli” con una interessante consapevolezza: quella appunto del contagio, o per meglio dire della “contaminazione”. Se spostiamo per un momento l’attenzione dall’ottica emergenziale verso un osservatorio più esistenziale e speculativo, ci accorgiamo che anche in questa fobia del contagio, tutto sommato, è insito un messaggio in qualche modo “rivelatorio”.
L’epoca che abbiamo chiuso fuori dalle porte di casa nostra, mentre il morbo impazzava, è stata spesso accusata di cinismo e scarsa empatia. Si è parlato di giovani “resistenti” ai sentimenti, poco permeabili al coinvolgimento. Ci siamo preoccupati per la mancanza in essi di “rispecchiamento emotivo”. Ora, che ci accingiamo a riaprirle quelle porte, la prospettiva appare diametralmente opposta: dovremo fare attenzione a non dissigillare troppo le nostre barriere.
Insomma l’avvertimento è chiaro: se ci avviciniamo troppo agli altri cadono i confini, cadono le dighe e ci si “mescola”. Quindi occhio a come vi muoverete!
Per la verità, però, “mescolarsi” è proprio il vertice della liberazione dalle nostre fobie al momento attuale. Mescolarsi significa prendersi a cuor leggero le mani, abbracciarsi, baciarsi, scambiarsi il calore e quindi anche i germi.
Fra i germi di cui siamo impregnati ci sono veri e propri focolai d’amore e di umano sentire. Ed è proprio quello il nutrimento che più ci manca, di cui abbiamo così fortemente bisogno. Serviva una pandemia forse per capirlo a pieno.
Siamo pronti a uscire, dunque, “in sicurezza”, ma serbando tutti nel cuore il desiderio ardimentoso di varcare poi finalmente le nostre frontiere.
Chissà se quando, nell’ultima fase di questo ritorno alla normalità, saremo disarmati (senza mascherina e senza guanti) avremo ancora bisogno di spiegare ai nostri figli quanto importante sia il rispecchiamento emotivo…